Il cibo alla scuola elementare

Che la scuola elementare possa rappresentare un valido banco di prova per un duraturo programma di educazione alimentare extrafamiliare lo stanno dimostrando proprio i recenti progetti sperimentali che sempre più di frequente si sentono nominare e presentare sui mass-media.

 

 

Infatti se, come visto, un'educazione alimentare corretta intesa in senso generale deve iniziare già al momento del divezzamento, quindi in famiglia, la scuola dovrebbe servire proprio a rafforzare la "identità alimentare" dei giovani.

Invece a scuola, in pratica e nonostante i progetti sperimentali sopra menzionati, tutto è - nelle migliaia e migliaia di classi elementari sparse per tutta Italia - demandato alla singola attenzione e preparazione degli insegnanti che, sia perché presi dallo svolgimento di un'attività sempre più multidisciplinare sia perché carenti di una preparazione specifica, talvolta trattano l'argomento in fretta o in maniera superficiale.

Ma se è vero che per il bambino è importante saper leggere e scrivere, perché non dovrebbe essere altrettanto importante sapere cosa e quanto mangiare?

Né sinora si fa molto perché l'educazione alimentare venga svolta da personale competente (pediatri, nutrizionisti, dietisti, psicologi), che potrebbe essere invitato o a tenere corsi periodici alle singole classi, o, come ancor più auspicabile, agli insegnanti stessi, così da formarli anche su questo aspetto dell'insegnamento certamente lontano dalla loro preparazione universitaria.

 

 

Invece, a parte le sporadiche campagne promosse dall'ex-Istituto Nazionale della Nutrizione (INN, attualmente INRAN o Istituto Nazionale per la Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione) o da qualche singola Università o Istituzione, in Italia le carenze in questo campo sono ancora molte, soprattutto nel senso della continuità.

Ciò viene sentito tanto più di questi tempi, quando i mutamenti delle abitudini alimentari anche in età evolutiva, favoriti da un lato dall'offerta di nuovi tipi di alimenti e dall'altro dai sensibili cambiamenti socioeconomici intervenuti dei paesi industrializzati, hanno profondamente modificato - e continuano a modificare - ritmi occupazionali e stili di vita, incidendo, e non poco, sull'alimentazione delle famiglie italiane.

Un altro problema è che il bambino di questa fascia d'età viene generalmente assimilato all'adulto, sia dalle famiglie che da molti pediatri. La frase del "ma che mangi ciò che vuole, basta che mangi" è un ritornello sin troppo frequente.

Alimentazione scolare

Se è vero che la fisiologia digestiva del bambino di scuola elementare è ormai totalmente matura, ciò nondimeno egli mantiene precipue esigenze legate alla specificità dell'accrescimento; inoltre, anche nei casi in cui l'educazione alimentare in famiglia è stata condotta correttamente nela prima e seconda infanzia, non è infrequente assistere a quello che può essere definito un vero e proprio analfabetismo di ritorno, legato sia alla mancanza di rinforzo e di applicazione delle buone abitudini precedentemente acquisite sia al cattivo esempio della massa, rappresentata in questo caso dai compagni di classe o di scuola.

Errori alimentari

 

 

I più frequenti errori commessi nell'alimentazione del bambino di età scolare sono:

  • apporto calorico giornaliero piuttosto alto
  • apporto di colesterolo spesso troppo elevato
  • basso consumo di vegetali e dunque di fibra alimentare
  • apporto di proteine elevato con eccesso di proteine animali
  • ridotto apporto di carboidrati complessi
  • eccessivo consumo al contrario di zuccheri semplici
  • scarso apporto di latte e yogurt
  • conseguente frequente carenza degli apporti di calcio
  • consumo di cereali poco raffinati pressoché nullo

Bisogni psicologici

Cosa sapere

A contatto con i coetanei, con nuove conoscenze intellettuali ed interpersonali, il bambino sperimenta nuovi gusti, giochi, abilità. Gli adulti, specialmente i genitori, sono i modelli di riferimento, gli "specchi" rispetto ai quali il fanciullo scopre differenze e somiglianze che lo riguardano.

Durante questa fase si organizzano i processi di identificazione e differenziazione su cui si basa la costruzione dell'immagine di sè e in cui che si attendono e verificano le proprie modalità di attaccamento ed emancipazione dalle figure significative, è la fase in cui possiamo notare le prime espressioni del carattere.

Si comincia a delineare un senso di sé strutturato e stabile.

Lo sviluppo cognitivo da ora e fino all'adolescenza è caratterizzato proprio dalle forme che assume il senso di sé del bambino e questo va sempre correlato con il senso degli altri che il bambino ha.

La fanciullezza rappresenta comunque un periodo di grande vulnerabilità in quanto i genitori hanno la possibilità di ridefinire completamente le emozioni del bambino, anticipandogliele e/o facendogliele provare a comando, tanto che il bambino finisce poi con l'avere un senso di sé ricavabile esclusivamente dagli altri - come accade in particolare proprio ai bambini che presentano disturbi della alimentazione.

Questa confusione tra i propri stati interni (scambiati infatti spesso per fame dai bambini obesi o per inappetenza da quelli sottopeso o anoressici) e i desideri o le aspettative degli altri può addirittura finire con il coinvolgere l'identità di ruolo, che tende a stabilizzarsi proprio intorno ai 5-6 anni.

Cosa fare

Bisogna assicurarsi della condizione dei vissuti tra genitori e figli, evitare di incorrere nella situazione ad alto rischio per il quale a genitori che giudicano i figli come "perfetti ed educati" corrispondono i figli con una percezione di sé di infelicità ed isolamento. È a questa età che, per tali motivi, possono comparire i primi disturbi della alimentazione e le incessanti attenzioni delle madri alla dieta.

Il bambino va aiutato a decifrare fare con chiarezza cosa va bene e cosa no, cosa è accettato/accettabile e cosa no, ad esprimere - fornendogliene un modello appropriato - le sue emozioni e senza che tema per questo la critica, gli va insegnato che sbagliando si impara e chi non è obbligatorio essere perfetti.

Così il bambino acquisterà uno maggiore stabilità emotiva e la capacità di cogliere il punto di vista altrui aumentando le sue abilità relazionali oltre alla sua autonomia.

Il genitore dello stesso sesso viene sempre più assunto a modello e sarà bene che ne sia consapevole e regoli di conseguenza il suo comportamento verso il figlio, mentre il genitore di sesso opposto da figura protettiva che era diventa sempre più il banco di prova della propria accettabilità sessuale prima del debutto adolescenziale.

Cosa non fare

Una particolare attenzione va fatta a non chiedere al bambino di provare una emozione piuttosto che un'altra ("stai tranquillo", "non essere nervoso" ecc.) ma aiutarlo a decifrare da solo quello che prova.

Così è opportuno evitare di dedicare una eccessiva attenzione ai risultati delle sue prestazioni e soprattutto alle apparenze ed alle sue caratteristiche esteriori: con la sua modalità concreta di pensare il bambino comincerà altrimenti a credere di valere qualcosa solo se esprime una forma fisica adeguata o se ha prestazioni eccezionali e per questo sarà così in ansia da commettere più facilmente errori, anche alimentari.

Se il bambino impara a preoccuparsi troppo di essere ben accettato dall'esterno, non riuscirà a dedicare adeguata attenzione ai propri stati interni, ai suoi gusti, alle sue emozioni e di conseguenza gli risulterà particolarmente difficile raggiungere gli adeguati livelli di autonomia e di tutte quelle abilità di confronto e impegno con gli altri che possono dare quella sicurezza di sé utile al suo corretto sviluppo psicofisico.

Al genitore di sesso opposto la raccomandazione di essere qualitativamente presente per evitare che nel figlio si sviluppi una personalità da abbandonato, i cui tratti sono spesso presenti nei soggetti in sovrappeso.

 

 

 

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