Epatite

Con il termine epatite si intende una infiammazione del fegato, situazione che può essere scatenata da qualunque insulto a atle organo. L'epatite virale è una infezione del fegato causata da un gruppo di virus che hanno una particolare affinità per quest'organo. Le infezioni virali sistemiche che possono colpire il fegato comprendono la mononucleosi infettiva, il citomegalovirus e la febbre gialla; più raramente e solo nei bambini o nei soggetti immunodepressi il virus della rosolia, l'adenovirus, l'herpesvirus o l'enterovirus.

 

 

Epatite A

Il virus dell'epatite A, flagello delle campagne militari fin dall'antichità, è una malattia benigna, autolimitantesi, con un periodo di incubazione che varia da 2 a 6 settimane. L'epatite A non provoca epatite cronica o stati di portatore sano, e solo di rado causa epatite fulminante, per cui la mortalità associata ad epatite A è molto bassa, pari a un caso su mille.

L'esito dell'infezione da epatite A può essere grave se sovrapposto a quadri di epatite B, C o alcolismo.

L'epatite A colpisce tutti i paesi, soprattutto quelli con bassi standard igienico-sanitari. Nei Paesi sviluppati la presenza di sieropositività aumenta con l'età, fino a raggiungere il 50% per la popolazione di 50 anni, negli USA. L'epatite A è la responsabile di circa il 25% delle epatiti acute nel mondo e si stimano 270000 nuovi casi ogni anno solo negli USA.

Il virus dell'epatite A si diffonde con l'ingestione di acqua e alimenti contaminati e viene liberato nelle feci da 2-3 settimane prima a 1 settimana dopo l'insorgenza dell'ittero, la manifestazione clinica più comune dell'epatite. Questo spiega le epidemie che si verificano nelle scuole e negli asili nido e quelle che si diffondono con l'acqua nei luoghi in cui le persone vivono in ambienti malsani. Il virus non è liberato in quantità significativa nello sperma, nella saliva e nell'urina.

 

 

Nei Paesi sviluppati, infezioni sporadiche possono verificarsi a seguito dell'ingestione di frutti di mare crudi o poco cotti, ma anche vegetali crudi. La trasmissione con il sangue si verifica raramente perché il virus dell'epatite A non rimane a lungo in tale tessuto.

La diagnosi di epatite avviene verificando la presenza di un anticorpo specifico di tipo IgM, presente nella fase acuta; dopo alcuni mesi tale anticorpo scompare e compaiono specifici IgG anti-virus dell'epatite A, che rimangono per anni nel sangue e conferiscono protezione contro il virus. Per questo motivo, il vaccino anti-epatite A è efficace.

Epatite B

Epatite C, B, A

L'epatite B è una infezione del fegato causata dal virus dell'epatite B. Essa è estremamente contagiosa e può essere trasmessa sessualmente o per contatto con sangue o liquidi del corpo infetti. Sebbene il virus dell'epatite B possa infettare le persone di tutte le età, i giovani adulti e gli adolescenti sono quelli a rischio maggiore: infatti il virus dell'epatite B è presente nel sangue e in altri liquidi biologici (in particolare sperma e secrezioni vaginali) di individui ammalati o portatori cronici (persone che, in assenza di malattia, ospitano l'agente infettivo e sono in gradi di trasmetterlo ad altri).

 

 

Il numero di portatori del virus dell'epatite B è molto alto, superando il 10% in alcune località.

Dopo un periodo di tempo variabile dai 2 ai 6 mesi dal contagio compaiono i primi sintomi: stanchezza, perdita dell'appetito, ittero, colorazione scura delle urine e colorazione chiara delle feci, febbre. Nella maggior parte dei casi l'epatite guarisce, ma a volte può diventare cronica portando anche a cirrosi e a cancro al fegato. La cronicizzazione dipende dall'età: 90% nei neonati, 20-50% fino ai 5 anni di età, 5-10% oltre i 5 anni). Per questo, risultano particolarmente gravi le infezioni da madre a feto o da genitore a infante.

Sebbene non esista nessuna cura per l'epatite B, esiste un vaccino sicuro ed efficace che può prevenire la malattia, oltre a norme igieniche atte a scongiurare il contagio come l'uso del preservativo nei rapporti occasionali.

Epatite C

L'epatite C è un virus la cui scoperta risale al 1989, per merito del Dott. Choo della Chiron Corporation. Il virus dell'epatite C determina una progressiva e lenta distruzione delle cellule del fegato ed ha diversi gradi di evoluzione: circa il 15% dei soggetti che vengono infettati guariscono spontaneamente; il 25% produce una malattia asintomatica con persistente normalità delle transaminasi e lesioni istologiche al fegato solitamente molto modeste; il rimanente 60% tende alla cronicizzazione. Di questi, il 40% manifesta lesioni epatiche necro-infiammatorie moderate con una minima fibrosi, il cui esito a lungo termine non è noto, ma è probabile che non vi sia una progressione della malattia.

L'abuso di alcool, l'essere stati contagiati in età inferiore ai 40 anni, il sesso maschile e la contemporanea infezione con il virus dell’epatite B o con l'aids (HIV) contribuiscono alla cronicizzazione dell'infezione.

Il rimanente 20% dei pazienti con epatite cronica virale sviluppa lentamente, ma inesorabilmente in soli 10-20 anni una cirrosi epatica e il 3-4% di questi ultimi arrivano a morte per insufficienza epatica, se non preventivamente inseriti nella lista per i trapianti.

Fortunatamente la trasmissione dell'epatite C non è facile: solo il 5% dei rapporti sessuali non protetti e il 5% delle gravidanze sono in grado di trasmettere il virus, la fonte più diffusa di contagio è il contatto diretto sangue-sangue, come avviene nelle trasfusioni.

La cura dell'epatite C si basa principalmente sull'interferone alfa (IFNa), combinato con altri medicinali in particolare con la ribavirina, senza però garantire la guarigione, che avviene nel 50% dei casi e non senza effetti collaterali anche pesanti.

Negli ultimi 30 anni sono stati sviluppati altri farmaci antivirali molto più efficaci, che curano la malattia definitivamente nel 90% e oltre dei casi, tuttavia questi farmaci, a causa dei brevetti che li proteggono, hanno ancora costi proibitivi (in Italia, nel 2016, si parla di 15000 euro per la cura completa con il farmaco Sofosbuvir), e per il momento il Sistema Sanitario Nazionale fornisce il farmaco solo agli ammalati gravi (circa un terzo del totale).

 

 

 

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