Febbre

La febbre è un innalzamento della temperatura corporea oltre i limiti fisiologici.

Ciascuno di noi è in grado di mantenere la propria temperatura corporea costantemente entro livelli fisiologici grazie all'azione di un centro nervoso a ciò dedicato situato verso la base del cervello, il centro termoregolatorio ipotalamico. Esso bilancia l'eccesso di calore prodotto principalmente dal metabolismo muscolare e del fegato regolandone la dissipazione tramite la cute per irraggiamento ed evaporazione e i polmoni con la respirazione.

 

 

In questo modo una persona sana avrà in media una temperatura, misurata nella cavità orale, di 36,8 ± 0,4°C.

Sulla cute, ad esempio nel cavo ascellare o nella piega inguinale, la temperatura che si misura è leggermente inferiore a quella rilevata nella cavità orale, mentre la misurazione rettale dà risultati di circa mezzo grado superiori.

I termometri per il canale uditivo, molto usati per i bambini, utilizzano un principio particolare (calore irradiato dal timpano) e non danno risultati sempre rapportabili alla temperatura corporea misurata in modo tradizionale.

Nel corso della giornata la temperatura corporea subisce delle normali escursioni (ritmo circadiano) con un livello minimo verso le sei del mattino ed uno massimo tra le quattro e le sei del pomeriggio e oscillazioni dell'ordine dei 0,5°C.

Quando si parla di febbre?

Novantanove persone sane su cento hanno una temperatura corporea che non supera i 37,2°C al mattino e i 37,7°C al pomeriggio: questi sono pertanto i limiti fissati oltre i quali si può cominciare a parlare di febbre.

 

 

La febbre si definisce infatti molto semplicemente come un rialzo della temperatura corporea oltre i normali limiti circadiani. In corso di malattia febbrile le normali variazioni della temperatura corporea nel corso della giornata solitamente sono mantenute ma possono essere anche di 1°C e ovviamente a livelli più alti.

Invece le oscillazioni non si verificano in caso di ipertermia, condizione distinta dalla febbre. Un'altra variazione caratteristica e importante è quella che si verifica nelle donne col ciclo mestruale: nelle due settimane che precedono l'ovulazione la temperatura corporea è più bassa e quindi sale di circa 0,6°C in concomitanza con l'ovulazione per rimanere a tale livello fino alle successive mestruazioni. Questo fenomeno è sfruttato, da solo o in associazione ad altri metodi, per il monitoraggio della fertilità e la sua regolazione naturale.

Anche la gravidanza o certe alterazioni endocrine (ipo/iper-tiroidismo, feocromocitoma, etc.) influenzano la temperatura corporea. Questa è poi più elevata in fase di digestione del pasto. Una particolarità riguarda le persone anziane, le quali possono esibire una ridotta capacità nello sviluppare febbre (anergia), magari con febbri di lieve entità persino in caso di gravi infezioni.

La febbre si verifica quindi per un innalzamento del set point ipotalamico da un livello normotermico a livelli febbrili, ad esempio da 37 a 39°C, molto similmente a quanto accade in una casa quando si alza il termostato del riscaldamento per aumentare la temperatura in una stanza. Nella maggior parte dei casi di febbre, la temperatura corporea aumenta di 1-2°C. Per far ciò si innesca tutta una serie di meccanismi volti a conservare calore: la persona innanzitutto avverte la vasocostrizione alle estremità (mani e piedi), la cute riceve meno sangue e si comincia a sentire freddo. Possono verificarsi brividi che hanno lo scopo di incrementare la produzione di calore da parte dei muscoli, ma il brivido può anche mancare se i meccanismi di conservazione del calore riescono ad innalzare in maniera sufficiente la temperatura del sangue.

Febbre

Anche il livello di attività metabolica, in particolare epatica, aumenta: la febbre rappresenta infatti uno stato ipermetabolico. Indossare ulteriori o più caldi indumenti e/o mettersi a letto sono comportamenti che facilitano il rialzo termico. I meccanismi di conservazione e produzione di calore persistono fino al raggiungimento del nuovo set point, dopodichè intervengono i normali meccanismi di equilibrio termico operanti anche nello stato non febbrile che mantengono il nuovo livello di temperatura corporea finché non cessa lo stimolo alla febbre (in modo spontaneo o per azione di farmaci) e il termostato ipotalamico si risetti ai più bassi valori di normalità.

 

 

A questo punto vasodilatazione cutanea e sudorazione abbassano la temperatura corporea riportandola al livello fisiologico.

Quando la febbre supera i 39°C viene anche definita iperpiressia, mentre sopra i 41,5°C si parla più propriamente di ipertermia. Questa febbre straordinariamente alta può svilupparsi in pazienti con gravi infezioni, ma più spesso si verifica in caso di emorragie cerebrali.

L'ipertermia è sostanzialmente dovuta ad un aumento incontrollato della temperatura corporea che eccede le capacità di dispersione del calore, senza modificazioni del set point ipotalamico.

Esposizione a calore esterno e produzione di calore endogena sono due meccanismi che possono portare a ipertermia, come in caso di lavoro o esercizio intenso in un ambiente esterno caldo-umido che impedisce una efficace sudorazione (colpo di calore). I soggetti molto giovani o molto anziani o che assumono particolari farmaci (anticolinergici, inibitori delle monoaminossidasi, antidressivi triciclici, amfetamine) o droghe da abuso (LSD, ecstasy, cocaina, etc.) sono più esposti e anche più vulnerabili, con possibili eventi fatali.

Esistono poi sindromi specifiche, come la sindrome maligna neurolettica, associate all'uso o alla interruzione di determinati farmaci; e forme genetiche ereditarie come l'ipertermia maligna che si manifesta in corso di anestesia generale.

È molto importante distinguere la febbre dall'ipertermia, poiché quest'ultima può essere rapidamente fatale e caratteristicamente non risponde agli antipiretici.

Approccio alla febbre

Non c'è altra situazione clinica in cui sia più importante la raccolta di una anamnesi meticolosa, dalle caratteristiche cronologiche della febbre all'uso di farmaci o medicamenti o droghe, a pregressi interventi chirurgici o odontoiatrici, alla storia occupazionale, all'esposizione ambientale o hobbies, viaggi, abitudini alimentari, contatti con animali, comportamenti sessuali, eventuale condizione di immunodeficienza, ecc.

Anche l'esame obiettivo da parte del medico è cruciale e nei casi più impegnativi la temperatura corporea misurata dovrebbe essere quella orale o rettale (quella ascellare non è sempre affidabile). Infatti pochi segni e sintomi in medicina hanno tante e tali possibilità diagnostiche come accade con la febbre.

Se la storia clinica, il contesto epidemiologico e l'esame fisico suggeriscono qualcosa di diverso da una banale infezione virale o da una faringite streptococcica, allora sono indicati anche gli esami di laboratorio, che saranno mirati se ci sono già elementi di sospetto per una determinata causa della febbre.

Se però la febbre è "indifferenziata", allora è opportuno procedere a più ampio raggio: emocromo completo con esame microscopico dello striscio di sangue, VES, esami di chimica clinica (elettroliti, glicemia, creatinina, transaminasi, etc.), esame delle urine ed eventualmente delle feci, esame di un eventuale accumulo anomalo di liquido (pleurico, peritoneale, articolare), fino alla biopsia del midollo osseo quando si vogliano escludere infezioni ivi localizzate o infiltrazioni tumorali.

Ovviamente gli esami microbiologici per verificare/escludere un'infezione quale causa della febbre sono fondamentali, dall'urinocoltura ai tamponi delle cavità corporee all'emocoltura fino alla puntura spinale in caso di meningismo.

Infine alcuni esami strumentali sono quasi d'obbligo nella definizione eziologica di una febbre, come la radiografia del torace.

Nella maggior parte dei casi, questo approccio consente di determinare la causa della febbre, ma talora la febbre persiste per 2-3 settimane senza che ripetute indagini portino ad una diagnosi. In questi casi si formula la diagnosi provvisoria di "febbre di origine sconosciuta" (la FUO degli anglosassoni: Fewer of Unknown Origin).

Trattamento della febbre

La maggior parte dei casi di febbre sono dovute ad infezioni autolimitanti, che guariscono senza bisogno di particolari interventi, per lo più di natura virale, agevolmente identificate.

In tali casi l'utilizzo di antipiretici in via routinaria, in "automatico", per trattare febbri di lieve entità negli adulti è assolutamente scorretto, anche per il rischio di mascherare importanti caratteristiche della malattia sottostante (esistono infatti patologie che si manifestano con febbre ad andamento tipico, come il tifo, la tubercolosi o la brucellosi), oltre che per evitare un abuso di questi farmaci e per lasciare che la febbre come risposta dell'organismo svolga i suoi postulati effetti benefici nel contrastare l'infezione in atto. Viceversa in alcune categorie di pazienti il trattamento della febbre è raccomandato, dal momento che la febbre può aggravare una preesistente insufficienza cardiaca, cerebrovascolare o polmonare. Anche i bambini con convulsioni febbrili o non febbrili devono essere trattati in maniera decisa per ridurre la febbre.

Va poi ricordato che nei neonati, negli anziani e nei pazienti con insufficienza renale cronica o in terapia con glucocorticoidi, la febbre può non essere presente nonostante la presenza di infezione; addirittura ci può essere ipotermia, in particolare in caso di shock settico.

La terapia della febbre dovrebbe essere il più possibile eziologia, cioè mirata alla causa specifica sottostante, ammesso e non concesso che questa lo richieda.

Ovviamente quando la febbre è troppo alta sono importanti anche i farmaci sintomatici, che agiscono cioè sui meccanismi generali del sintomo febbre. Questi farmaci antipiretici sono innanzitutto gli inibitori delle ciclossigenasi (iCOX), che sono tanto più potenti contro la febbre quanto più agiscono a livello del cervello. La ciclossigenasi è l'enzima responsabile della sintesi della prostaglandina E2, il mediatore della febbre in grado di innalzare il termostato ipotalamico.

Il paracetamolo (o acetaminofene, la comune tachipirina) è appunto un potente iCOX centrale, anche se ha scarsa attività antinfiammatoria. Ma il più antico farmaco contro la febbre ancor oggi ampiamente usato, con efficacia pari a quella del paracetamolo, è l'aspirina. Anche altri farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), come indometacina e ibuprofene, sono eccellenti antipiretici. Tuttavia a causa dei loro effetti collaterali sulla funzione delle piastrine e sullo stomaco, in caso di febbre, ai FANS si preferisce spesso il paracetamolo, il quale è indicato come prima scelta in particolare nei bambini (per il rischio di sindrome di Reye da FANS). Efficaci contro la febbre sono pure i glucocorticoidi (antinfiammatori steroidei).

Di non secondaria importanza nel contrastare la febbre sono tutti quegli accorgimenti volti a facilitare la dispersione di calore, come il tradizionale frizionamento con un panno bagnato.

Inoltre abbassare la febbre per mezzo degli antipiretici riduce anche i sintomi generali spesso associati alla febbre: mal di testa, dolori muscolari e articolari.

 

 

 

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