Tachicardia

La tachicardia è un disturbo del ritmo cardiaco relativamente frequente. Spesso questi disturbi rappresentano il sintomo di un'affezione cardiaca o extracardiaca sottostante, ma la tachicardia può comparire anche in soggetti altrimenti sani.

 

 

Soggettivamente la tachicadia può essere avvertita come palpitazioni se la frequenza è accelerata o con sintomi di scompenso emodinamico.

L'elettrocardiogramma (ECG), all'occorrenza con registrazione per 24 ore (ECG-Holter), è in grado, il più delle volte, di chiarire il disturbo permettendo quindi l'impostazione di una idonea terapia. Anche in questo caso, infatti, l'individuazione delle cause è il presupposto per un efficace trattamento eziologico e per la definizione della prognosi. Va sottolineato a questo proposito che gli stessi farmaci antiaritmici possono scatenare un'aritmia se sovradosati o se somministrati inopportunamente o in associazione con altri medicinali.

Quando il normale ritmo cardiaco è alterato con un'accelerazione della frequenza del battito, si parla di tachiaritmia; mentre per tachicardia, in senso stretto, si intende l'aumento della frequenza cardiaca sopra i 100 battiti al minuto, ma con normale ritmicità.

La classica tachicardia è quella sinusale, a partenza cioè dal nodo seno-atriale, quella parte dell'atrio destro che funziona fisiologicamente da pace-maker del cuore.

La tachicardia sinusale (frequenza cardiaca > 100/min) è distinta in:

  • tachicardia fisiologica: neonati, bambini piccoli, stress fisico e psichico, reazioni emotive, tono del sistema nervoso simpatico aumentato;
  • tachicardia patologica: febbre (per 1°C di innalzamento della temperatura corporea, aumento della frequenza di circa 10 battiti/min), ipertiroidismo, anemia, ipossia, ipotensione, emorragia, shock, insufficienza cardiaca, miocardite, cuore polmonare, sindrome cardiaca ipercinetica (disturbo della regolazione vegetativa sotto forma di aumentato stimolo adrenergico simpatico con lieve tachicardia a riposo, tachicardia da sforzo ed ipertensione sistolica);
  • tachicardia da farmaci: alcool, nicotina, caffeina, derivati adrenalinici, atropina, ecc.

 

 

Il limite critico della tachicardia dipende dalla possibilità di rendimento del cuore e dall'età, secondo la formula: frequenza cardiaca massima = 220 – età.

All'aumentare della frequenza, la diastole, cioè la fase di rilasciamento del cuore, si riduce progressivamente, provocando così la riduzione del riempimento e quindi della gittata cardiaca. All'ECG si possono osservare slivellamenti del tratto ST del tracciato conseguenti alla tachicardia, quali segni di turbe della ripolarizzazione (il corrispettivo elettrico della diastole).

La terapia della tachicardia sinusale vede come misura più importante il trattamento dei fattori scatenanti e, in caso di tachicardia marcata e solo nella sindrome cardiaca ipercinetica o nell'ipertiroidismo (in aggiunta al trattamento tireostatico) anche eventualmente la terapia sintomatica con farmaci betabloccanti.

Esistono altre zone del cuore dove l'impulso può originarsi autonomamente, ma normalmente questi pace-maker secondari (nodo atrio-ventricolare) e terziari (fascio di His e fibre del Purkinje nel ventricolo) non agiscono, avendo una autofrequenza bassa, a meno che il ritmo sinusale venga a mancare oppure quando si ha un blocco di conduzione. In singoli casi però essi possono agire in qualità di centri ectopici attivi con frequenze aumentate patologicamente > 100/min che temporaneamente assumono la funzione di pace-maker, causando delle forme di tachicardia che prendono rispettivamente il nome di ritmo giunzionale accelerato e ritmo idioventricolare accelerato.

Alla base ci sono affezioni cardiache di origine organica (ad es. infarto recente) oppure intossicazione da digitale (un farmaco antiaritmico) e la terapia consiste quindi nel trattamento della malattia di base, controllando ovviamente la somministrazione di digitale.

Nell'ambito dei disturbi ectopici "attivi" (cioè più veloci del normale pace-maker del cuore) di formazione dello stimolo, abbiamo quindi le tachicardie sopraventicolari (atriale e del nodo atrio-ventricolare) e la tachicardia ventricolare, differenziate evidentemente in base alla localizzazione dell'origine, e dovuti a fenomeni di cortocircuito all'interno del tessuto di conduzione cardiaco.

La tachicardia atriale

Tachicardia

La tachicardia atriale è di tre tipi: tachicardia atriale unifocale, che spesso riguarda soggetti sani e ha una frequenza di 150-200/min; tachicardia atriale con blocco atrio-ventricolare, in genere correlata a tossicità digitalica; tachicardia atriale multifocale, dovuta a malattie come il cuore polmonare e l'insufficienza cardiaca grave, o a intossicazione da teofillina (un farmaco che si usa negli attacchi gravi di asma).La tachicardia parossistica sopraventricolare è causata da anomalie del sistema di conduzione dello stimolo e le prime manifestazioni cliniche compaiono solitamente tra i 20 e 30 anni d'età. Riconosce diverse forme: Sindrome WPW (di Wolff-Parkinson-White) permanente o intermittente; Sindrome di Mahaim (rara); sindrome di Lown-Ganong-Levine, priva di significato clinico. Nella maggioranza dei casi si tratta di un reperto ECG asintomatico, talvolta si hanno tachicardie parossistiche sopraventricolari ma si possono avere anche tachiaritmie potenzialmente pericolose per la vita.

 

 

La fibrillazione atriale (cioè la perdita di una valida contrazione dell'atrio sinistro, che si verifica nel 10% dei casi) può portare in questi casi a tachicardie ventricolari e fibrillazione ventricolare, con morte cardiaca improvvisa. Altre forme di tachicardia parossistica sopraventricolare, con caratteristiche diverse, sono dovute ad una anomalia congenita del sistema di conduzione dello stimolo in soggetti senza cardiopatia o a prolasso della valvola mitrale, o ad altre cardiopatie, o infine a ipertiroidismo.

La tachicardia è regolare con frequenza tipica di 180-220/min e l'attacco di tachicardia è improvviso (parossismo) con durata di minuti, ore e più, spesso con altrettanto improvviso ritorno al normale ritmo sinusale.

Nei pazienti senza affezioni cardiache spesso non vi sono altri sintomi oltre alle palpitazioni. Nel paziente con insufficienza cardiaca e/o affezione coronarica si può avere eventualmente riduzione critica della portata con ipotensione, angina pectoris, talvolta vertigine, sincopi; raramente shock cardiogeno. Durante e dopo l'attacco si manifesta tipicamente anche una risposta diuretica. La terapia va dalla stimolazione vagale (tentativo di manovra di Valsalva, massaggio del seno carotideo, bere velocemente un bicchiere di acqua fredda contenente bicarbonato, immergere il viso nell'acqua fredda, mettere del ghiaccio intorno al collo, ecc.) all'uso di farmaci antiaritmici, all'ablazione selettiva con catetere ad alta frequenza della via di conduzione accessoria (ablazione del fascio di Kent) nella tachicardia WPW recidivante, all'elettrocardioversione nell'incombente shock cardiogeno.

La tachicardia ventricolare

La tachicardia ventricolare è invece generalmente di natura organica grave (cardiopatia ischemica, infarto miocardico, miocarditi). Ma anche il sovradosaggio/intossicazione da digitale o alcuni antiaritmici possono esserne causa. Raramente si verifica una tachicardia ventricolare idiopatica (cioè senza causa apparente) nel soggetto giovane e sano. A seconda della gravità e durata della tachicardia ventricolare e dello stato di funzionalità del cuore, i sintomi variano da cardiopalmo, dispnea, angina pectoris fino all'edema polmonare ed allo shock cardiogeno.

La tachicardia ha un ritmo regolare con frequenza di norma 120-200/min.

La tachicardia ventricolare è un disturbo del ritmo pericoloso per la vita, pertanto bisogna agire immediatamente per il pericolo imminente di fibrillazione ventricolare e shock cardiogeno. In acuto bisogna quindi controllare una eventuale terapia digitalica e la potassiemia (bassi valori di potassio, dovuti per esempio alla terapia diuretica, favoriscono le aritmie), e somministrare idonei farmaci antiaritmici. Ovviamente appena possibile occorre trattare la malattia di base: è fondamentale, ad esempio la rivascolarizzazione in caso di cardiopatia ischemica. Come prevenzione delle recidive, nei pazienti post-infartuati e nei pazienti con ridotta efficienza cardiaca è possibile ridurre significativamente l'incidenza di morte cardiaca improvvisa con i betabloccanti, ma i pazienti a rischio di fibrillazione ventricolare possono essere adeguatamente protetti solo dall'impianto di un cardiovertitore/defibrillatore impiantabile.

 

 

 

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