Al giorno d’oggi il Whisky può essere interpretato come una lente attraverso cui osservare l’evoluzione dei mercati internazionali, i cambiamenti culturali e gli effetti della geopolitica sulle abitudini di consumo.
Mentre alcuni Paesi consolidano la propria posizione, altri si interrogano sul futuro del settore. In particolare, la Russia conquista la leadership sul mercato interno, gli Stati Uniti si trovano sotto pressione a causa dei dazi internazionali, e la Scozia affronta una fase delicata che solleva dubbi sulla tenuta del suo storico primato.
In parallelo si rafforza una tendenza, ormai globale: quella dell’acquisto consapevole e personalizzato, che passa anche attraverso canali alternativi. Per molti consumatori, la scelta di affidarsi a piattaforme specializzate in whisky online è un fenomeno in crescita che testimonia come l’esperienza di degustazione si stia spostando sempre più anche nel digitale, seguendo logiche di qualità e selezione.
Il caso russo si distingue per una dinamica in controtendenza: la produzione nazionale ha superato quella importata. Secondo i dati riportati da Obicons, nel 2024 il whisky russo ha rappresentato il 51% delle vendite totali nel Paese, segnando per la prima volta il sorpasso sui marchi esteri, la cui quota si ferma al 49%.
Questa crescita è avvenuta in concomitanza con una riduzione delle importazioni ufficiali e l’espansione delle cosiddette importazioni parallele. Molti marchi internazionali sono ancora presenti sugli scaffali russi, ma in modalità non convenzionali, senza autorizzazione del produttore.
Un altro fattore decisivo è il prezzo. Le bottiglie di whisky russo costano mediamente meno rispetto alle equivalenti straniere, anche grazie al formato più piccolo (0,5 litri contro i tradizionali 0,7). Dunque sono più accessibili in un contesto economico in cui, il calo dello scontrino medio, spinge i consumatori a dare un taglio alle spese superflue.
La situazione è ben diversa negli Stati Uniti, dove i produttori di whisky vivono un momento di forte incertezza. La causa principale è il ritorno dei dazi tra Stati Uniti e Unione Europea.
Le nuove tariffe, pari al 25% per l’import da Canada e Messico e al 20% per i prodotti cinesi, si estendono anche ai prodotti europei, con un effetto domino che ha colpito duramente anche l’alcolico americano per eccellenza: il bourbon.
Negli ultimi tre anni le esportazioni di whisky americano verso l’Europa erano cresciute del 60%, fino a toccare i 700 milioni di dollari. Un mercato strategico, quindi, che ora rischia di restringersi.
La Scozia, patria indiscussa dello scotch, attraversa con una certa ricorrenza dei momenti di flessione. Stavolta, però, ci sono delle differenze rispetto al passato.
La domanda si sta normalizzando, secondo il linguaggio prudente dei dirigenti di settore. Ma dietro questa espressione si nasconde un dato: i consumatori più giovani non si sentono rappresentati da un prodotto percepito come tradizionale e maschile. Al tempo stesso, i nuovi mercati emergenti non stanno crescendo con l’intensità attesa. E anche l’effetto premiumisation mostra segnali di stanchezza, mentre il gin artigianale e altri liquori alternativi sottraggono spazio allo Scotch.
La Scozia può contare su un’eredità forte, una reputazione globale e un’industria strutturata, ma la lezione del passato suggerisce prudenza: le strategie basate esclusivamente sull’espansione rischiano di non reggere di fronte a un mercato che cambia, e che oggi sembra chiedere meno quantità e più autenticità.
Al giorno d'oggi il Whisky può essere interpretato come una lente attraverso cui osservare l'evoluzione dei mercati internazionali.
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