AIDS rappresenta l'acronimo inglese della sindrome da immunodeficienza acquisita (Acquired Immune Deficiency Syndrome). È una malattia dovuta all'infezione da parte dell'HIV, un virus a RNA appartenente alla famiglia dei Retrovirus, genere Lentivirus. Il genoma dei retrovirus è trascritto in DNA da una trascrittasi inversa ed entra nel nucleo dove si integra col DNA della cellula dell’organismo umano.
Il virus dell’HIV è stato scoperto nel 1981 quando si verificò un’anomala epidemia di polmoniti in giovani adulti dovuti al Pneumocistis Carinii, microrganismo solitamente responsabile di infezioni opportunistiche. Esistono due diversi virus appartenenti a questa categoria: l’HIV-1, che è il più virulento, e l’HIV-2 che è invece endemico soprattutto in Africa ed è un po’ meno virulento.
Importante per capire come questo virus infetta le cellule umane è capire la sua struttura.
L'HIV-1 è formato infatti da 3 parti:
Una volta avvenuto il contagio, il virus deve entrare nelle cellule e le cellule bersaglio sono i linfociti T CD4+, cioè le cellule che presentano il recettore CD4+ espresso sulla membrana. Avviene il legame tra recettore CD4+ e la GP120, si verificano dei mutamenti strutturali che permettono l’esposizione di altri recettori, in modo che anche la GP41 possa legarsi. In questo modo il virus entra nella cellula umana.
Molto importanti sono alcuni co-recettori, che partecipano alla fase di entrata del virus nella cellula, ma servono anche come bersagli fondamentali per la terapia anti-retrovirale. I co-recettori sono CCR5 e CXCR4 e legano diverse sostanze dette chemochine.
Entrato nella cellula, virus perde il suo envelope e il materiale genetico si trova nel citoplasma. Qui una trascrittasi inversa, enzima fondamentale per la replicazione del virus, trasforma una catena di RNA in DNA: ne deriva un pro-virus che viene portato nel nucleo della cellula ospite e grazie ad un altro enzima, l’integrasi, viene inserito nel genoma cellulare.
Qui si può duplicare con la cellula stessa per anche molti anni, fino a che non si attiva. Con l’aiuto della RNA polimerasi della cellula, il virus copia il proprio materiale da DNA a RNA e viene portato nel citoplasma. Qui grazie all’apparato biosintetico della cellula, si formano le proteine e gli enzimi del virus.
Dopo la formazione del core, le nuove particelle virali escono dalla cellula ospite per gemmazione (il core attraversa la membrana plasmatica e viene rivestito dall’envelope).
I 3 determinanti per l’infezione da HIV sono: le caratteristiche dell’agente infettante, i fattori correlati all’ospite, i fattori ambientali.
L’HIV è presente nel sangue, nei liquidi organici, nel latte, nella saliva e nel liquor cefalorachidiano.
Le principali vie di trasmissione dell’infezione sono quella sessuale, quella ematica e quella materno-fetale.
Via sessuale: i fattori che influenzano la trasmissione sono principalmente il numero di partner (quindi la promiscuità sessuale), la frequenza dei rapporti sessuali, la presenza di altre malattie sessualmente trasmissibili (MST, come sifilide, gonorrea, ecc…), la suscettibilità dell’individuo infettato (se ha problemi di immunità), l’ infettività del partner.
Via ematica: un tempo c’era il rischio di essere infettati per i pazienti che venivano sottoposti a trasfusioni di sangue o per i pazienti emofilici. Ora per fortuna sono in vigore rigorosissimi sistemi di controllo delle sacche di emazie, tale per cui questa via di trasmissione dell’HIV è praticamente azzerata. Rimane però il rischio di infezione per i tossicodipendenti che si scambiano le siringhe. Si ricordano ancora le punture con aghi infetti e le ferite. Il rischio di contagio attraverso esposizione percutanea al sangue infetto è di circa 1/300-400. Varia a seconda della carica virale, della profondità della ferita e di altre caratteristiche dell’ospite. La valutazione del possibile contagio deve essere fatta il più in fretta possibile in modo da poter eventualmente partire con la profilassi post-esposizione. La durata della profilassi è di circa 1 mese se non compaiono effetti collaterali o alterazione degli esami emato-chimici. In caso di ferita accidentale si eseguono screening per HIV, HBV, HCV.
Via materno-fetale: la percentuale di infezione varia dall’11 al 60%. Per prevenire la trasmissione dell’HIV dalla madre al figlio bisogna trattare subito la madre, effettuare un parto cesareo, somministrare latte artificiale al neonato e sottoporlo per breve tempo alla terapia anti-retrovirale.
Il decorso di questa malattia può essere caratteristicamente suddivisa in diverse fasi a seconda dei sintomi e della progressione dell’infezione dell’HIV.
La diagnosi si basa sull’anamnesi per valutare se compaiono dei fattori di rischio, come la tossicodipendenza o la promiscuità sessuale. Va ricordato come solamente l'uso del preservativo rappresenta l'unico modo per evitare l’infezione da HIV tramite i rapporti sessuali!
Si indaga ovviamente la presenza di eventuali segni e sintomi (come la candidosi orale, infezioni da patogeni opportunisti, segni di immunodeficienza).
Si effettua l’analisi del sangue per la conta dei linfociti T CD4+ e si ricerca la presenza dell’HIV nel sangue del paziente.
C’è da sottolineare il fatto che molto spesso il paziente non risulta essere positivo all’infezione dell’HIV prima dei 6 mesi dal contagio. Dopo un evento a rischio, infatti, il test viene eseguito subito per determinare la situazione preesistente dell’individuo e poi ripetuto dopo 1, 3 e 6 mesi.
Una volta che il test è risultato essere positivo, quindi il paziente risulta essere infettato dall’HIV, vengono ricercati 2 importanti parametri che servono per seguire l’andamento della malattia:
La terapia dell’AIDS è una terapia molto complessa che non porta a guarigione del paziente, ma semplicemente ne allunga la vita ed evita l'instaurarsi di alcune complicazioni.
Caratteristico è il ricorso a una politerapia, in cui si somministrano solitamente 2 o più farmaci.
Per la cura (attenzione non guarigione!) dell'AIDS esistono 5 principali classi di farmaci:
Di solito la terapia con cui si ottengono i risultati migliori è quella triplice: vengono infatti usati 3 farmaci che contemporaneamente inibiscano la replicazione dell’HIV in diversi punti del suo ciclo replicativo. La triplice terapia infatti protegge dalla selezione di cloni virali resistenti ai farmaci stessi e protegge dal fallimento terapeutico dovuto alla selezione di una sotto popolazione resistente.
Per valutare l’efficacia della terapia somministrata si valutano 2 marcatori farmacodinamici: il numero dei CD4+ (vn 800-1000/mm3 sangue) e la viremia plasmatica (numero di copie del virus circolanti nel sangue).
Se la terapia anti-retrovirale è efficace, si osserva un rapido calo della viremia (fino alla scomparsa sotto la soglia di rilevazione) e una crescita del numero dei linfociti CD4+ a distanza di qualche settimana. Il paziente va incontro a un recupero immunitario, grazie all’inibizione della replicazione virale e viene considerato fuori dal rischio di sviluppare patologie opportunistiche solo quando i CD4+ sono >200/mm3.
Importante è sottolineante come il miglioramento del paziente è proporzionale al momento in cui si inizia la terapia!
Se si inizia terapia su un paziente in fase avanzata, che ha già avuto qualche infezione opportunistica, in uno stato generale compromesso, l’effetto sarà più significativo che non iniziare una terapia su un paziente asintomatico. È però in quest’ultimo caso che la terapia sarà più efficace, nonostante non saranno dimostrati benefici clinici.
La terapia anti-retrovirale deve essere somministrata per tutta la vita, infatti la malattia riprende se sospesa. Il virus infatti si trova all’interno del genoma delle cellule immunitarie del paziente infetto e la terapia non riesce a modificare l'incapacità dell'organismo a sviluppare uno stato di immunità valido.
Inoltre, il paziente, oltre ai farmaci della terapia anti-retrovirale, deve prendere altri farmaci per la cura di alcuni sintomi e per evitare i molti effetti collaterali che la terapia anti-retrovirale causa.
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