Ormai da qualche anno molti grandi chef giocano con le consistenze degli alimenti più che con il gusto, stupendo i loro clienti con piatti che hanno consistenze molto diverse da quelle originarie del prodotto. Uova crude con la consistenza della ricotta, gelati al gusto di sigaro, cocktail solidi, sono solo alcune delle proposte che vanno molto di moda di questi tempi.
Questa innovazione è stata possibile grazie all'applicazione di teorie e tecnologie fino a quel momento utilizzate solo nei laboratori di fisica e chimica.
La gastronomia molecolare o cucina molecolare è quella disciplina scientifica che insegna a comprendere i meccanismi che stanno alla base delle trasformazioni che avvengono negli alimenti durante la loro preparazione.
L'inventore della gastronomia molecolare è Pierre Gilles De Gennes, premio nobel per la fisica nel 1991. Egli, a partire dal 1992, ha riunito chimici, biologi e cuochi con lo scopo di realizzare esperimenti scientifici in cucina per arrivare ad elaborare una "teoria della pietanza".
Il francese Hervè This, autore di diversi libri sulla gastronomia molecolare, è stato il primo chef a mettere sulla carta innovativi piatti elaborati con metodi scientifico/culinari.
La cucina molecolare intesa come semplice moda ha esaurito quasi subito il suo potenziale di attrazione nella gente e infatti sono pochi i ristoranti che propongono menù interamente "molecolari": si può stupire anche senza utilizzare in tutti i piatti consistenze strane e accostamenti arditi, che invece trovano una giusta collocazione in qualche piatto di un menù degustazione.
Quesi tutti gli chef di alta cucina, da qualche anno, hanno iniziato ad utilizzare tecniche e strumenti che nascono con la cucina molecolare: sifoni, cotture sotto vuoto, gelatine, mousse, ecc, e hanno inserito nei loro menù piatti preparati utilizzando queste tecniche. A differenza della gastronomia molecolare "pura", dove si cerca l'estremizzazione dell'inusualità (concretizzata nel proporre pietanze il cui gusto, consistenza, temperatura sono fattori totalmente scollegati tra loro), questi sono piatti tutto sommato normali, dove la scienza viene utilizzata, ma non in modo evidente e "ingombrante".
Ecco allora che è possibile trovare la vera dimensione della cucina molecolare intesa come scienza applicata in cucina, non per inventare un nuovo modo di cucinare, ma per comprendere meglio i fenomeni fisico chimici che avvengono durante la preparazione dei piatti, di spiegarli scientificamente, e di sfruttare queste conoscenze per migliorare la qualità delle preparazioni.
In parole povere, la gastronomia molecolare ha fatto diventare la cucina da una disciplina prettamente empirica a una vera e propria scienza. I vantaggi di questo approccio ovviamente sono notevoli, come vedremo tra breve.
La cucina molecolare stupisce soprattutto con le consistenze inusuali, ottenute sfruttando la comprensione profonda dei fenomeni di interazione tra le particelle di carboidrati, proteine e grassi contenute nei cibi. Non è però questo il campo di applicazione di questa disciplina per il semplice appassionato di cucina, nè per la stragrande maggioranza degli chef.
Il rischio di ogni disciplina che non dimostra scientificamente cioò che afferma è quello di prendere delle cantonate colossali e perdere di oggettività. Se ci pensiamo la cucina è piena di dicerie, segreti, di trucchi indimostrati, quasi fosse una disciplina alchemica. La gastronomia molecolare ha dato serietà e scientificità alla cucina, ha modernizzato moltissimo una disciplina fondata su luoghi comuni e "consigli della nonna" troppo spesso infondati.
E infatti uno degli aspetti più interessanti della gastronomia molecolare è la distruzione di alcuni luoghi comuni talmente affermati che saranno riproposti anche da esperti di alimentazione ancora per moltissimi anni. Prendiamo in considerazione due dei luoghi comuni più noti sulla carne.
La regola recita che per fare un buono brodo bisogna mettere la carne nell'acqua fredda e portarla ad ebollizione, per fare un buon bollito bisogna metterla nella pentola solo dopo che l'acqua ha preso il bollore.
Questo assunto si basa sul fatto che il violento sbalzo di temperatura chiuderebbe i pori della carne impedendo ai succhi di fuoriuscire. Basta avere un minimo di buon senso e un minimo di conoscenza anatomica del muscolo per capire che è impossibile che la parte esterna di un pezzo di carne diventi impermeabile: infatti gli esperimenti scientifici hanno dimostrato che questa è una bufala, pesando la carne prima e dopo e verificando che con entrambi i sistemi la quantità di liquidi perduta dalla carne è la stessa.
Ciò nonostante, moltissimi chef ed esperti di gastronomia continuano imperterriti ad affermare questo principio fasullo che viene addirittura insegnato in molti istituti alberghieri.
Questa bufala è ancora più divertente della prima e facilmente smascherabile da chiunque abbia un minimo di spirito critico. Quante volte avete sentito che bisogna rosolare la carne per "sigillarla" in modo tale da non farne fuoriuscire i succhi in cottura? Rosolare la carne significa portarla ad alta temperatura, in questo modo avvengono reazioni tra i macronutrienti (come quella di Maillard) che consentono di sviluppare l'aroma di carne arrostita. A questo serve la rosolatura. Pensare che questa pratica sia in grado di rendere impermeabile la carne è pura fantasia.
La fuoriuscita dei liquidi avviene quando la carne supera la temperatura di coagulazione della carne (che avviene a partire dai 60 gradi): le proteine coagulano, si contraggono, ed espellono i liquidi che trattengono al loro interno. Questo avviene con o senza rosolatura. La carne diventa dura e perde molto del suo aroma (che fuoriesce insieme ai succhi): per questo va mangiata al sangue...
Se la cottura è breve (e ad alta temperatura) si ottengono due risultati molto importanti: la rosolatura della superficie, e il mantenimento della parte interna a temperature inferiori ai 65 gradi. Ma per favore, smettetela con questa storia del "sigillare" che fa ridere...
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