La fibrillazione atriale (FA) è un'aritmia nella quale il ritmo cardiaco non è governato dal nodo del seno (come avviene nel cuore normale), ma si generano all'interno degli atri degli impulsi ad elevata frequenza, con cicli irregolari e solo alcuni di essi vengono condotti ai ventricoli permettendone la contrazione.
Moltissimi infatti di questi impulsi vengono bloccati dal nodo atrio-ventricolare, per questo motivo la frequenza di contrazione dei ventricoli è minore rispetto a quella degli atri.
La fibrillazione atriale è una malattia molto frequente, la sua incidenza aumenta con l'età.
Circa il 5% della popolazione sopra i 65 anni ne è affetta.
Pur non rappresentando sempre una condizione di emergenza, la FA è un'importante causa di incremento di mortalità per malattie cardiovascolari ed è associata a un aumento di episodi di stroke e a un peggioramento della qualità di vita.
La fibrillazione atriale riconosce moltissime cause.
Può essere infatti associata a cardiopatie strutturali, come le valvulopatie (soprattutto a carico della mitrale), ipertensione arteriosa, cardiopatie congenite, cardiomiopatia ipertrofica, cardiomiopatia dilatativa (CMD), cardiopatia ischemica, tumori cardiaci (rari), pericardite o cuore polmonare cronico.
La FA può però anche non essere associata a cardiopatie strutturali, come nel caso di FA che insorgono nei pazienti affetti da sindrome di Brugada, sindrome del QT breve, sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW) o disfunzione del nodo del seno atriale, tutte malattie del sistema elettrico (e non meccanico) del cuore.
Inoltre la fibrillazione atriale può associarsi a malattie come l'ipertiroidismo, la sindrome delle apnee notturne (OSAS) o la distrofia di Emery-Dreifus (un particolare tipo di distrofia muscolare).
Tuttavia, in circa il 30% dei casi, non è possibile identificare una causa della fibrillazione: in questi casi si definisce fibrillazione atriale idiopatica.
Diversamente dalle altre aritmie che possono colpire il cuore, la fibrillazione atriale non riconosce un singolo meccanismo elettrogenetico, ma più fattori possono concorrere nel determinare la sua genesi e il suo mantenimento.
Brevemente, possiamo dire che nella FA si realizzano dei multipli impulsi di contrazione che, disordinatamente, attivano ciascuno una regione dell'atrio.
L'atrio quindi è ininterrottamente attivato, in ogni momento del ciclo. Vi sono infatti aree atriali che si depolarizzano mentre altre zone si stanno ripolarizzando.
Ciò spiega la presenza di onde atriali (onde f) per tutta la durata del ciclo cardiaco.
Questo per quanto riguarda il punto di vista elettrico del cuore. Dal punto di vista meccanico, invece, la FA corrisponde ad una paralisi dell'atrio perché le singole cellule muscolari cardiache si contraggono ma in maniera inefficace nel favorire la progressione del sangue nei ventricoli in quanto non c'è sincronia negli impulsi e la contrazione risulta quindi disordinata.
Tuttavia, la mancanza della contrazione atriale non influenza il riempimento ventricolare, in quanto questo, in condizioni normali, si riempie passivamente.
Se però sussiste una disfunzione anche a carico del ventricolo (per esempio dell'ipertrofia ventricolare), il ruolo della contrazione atriale diviene importante per favorire il riempimento del ventricolo sottostante e quindi la FA può provocare una riduzione importante della gittata cardiaca ed essere causa di scompenso del cuore.
La sintomatologia della fibrillazione atriale è legata alla irregolarità dei battito cardiaco e alla frequenza di contrazione del ventricolo solitamente alto che genere quindi la sensazione di palpitazione.
Dato che nella FA, come già detto in precedenza, si ha la perdita di contrazione efficace dell'atrio, con conseguente possibile riduzione della gittata cardiaca, altri sintomi che possono associarsi alla FA sono la facile affaticabilità , la dispnea (mancanza di fiato) e il dolore toracico.
Tuttavia, in circa il 20% dei casi, la FA è del tutto asintomatica.
Le complicanze della FA possono essere dovute alla sua irregolarità, all'elevata frequenza cardiaca e alla perdita di contrazione degli atri.
Le prime due condizioni possono portare una riduzione della funzione contrattile del ventricolo sinistro che, in presenza di altre disfunzioni, può esitare in uno scompenso cardiaco.
La perdita di contrazione degli atri determina un rallentamento del flusso ematico all'interno del cuore che porta a stasi di sangue e quindi a un aumentato rischio di formazione di trombi negli atri.
Questi trombi sono generalmente adesi alla parete dell'atrio ma possono staccarsi ed embolizzare, soprattutto quando si tenta di ripristinare il ritmo sinusale (ovvero quelle del cuore normale senza aritmie).
Un trombo formatisi nell'atrio di sinistra può infatti embolizzare in qualsiasi distretto periferico seguendo la grande circolazione e non di rado viene colpito l'encefalo manifestandosi con l'ictus cerebrale.
Dal punto di vista clinico è utile distinguere un primo episodio documentato e isolato da quelli che si ripetono.
Nel caso in cui il paziente presenti 2 o più episodi, la FA è considerata ricorrente. Se l'aritmia termina spontaneamente, la recidiva di FA viene definita parossistica, mentre se dura più di 7 giorni viene definita persistente.
Nella FA persistente, il ripristino del ritmo (cardioversione) si ottiene con farmaci o con mezzi elettrici.
Esiste anche la FA permanente, pazienti nei quali la cardioversione non è stata effettuata o non ha avuto successo.
Il modo migliore per fare diagnosi di fibrillazione atriale è l'esecuzione dell'ECG.
Nella FA, infatti, si ha la scomparsa delle onde P (espressione della contrazione normale degli atri) e la presenza delle onde f, continue durante tutta la durata del ciclo cardiaco.
La loro frequenza varia da 380 a 600 al minuto e molto variabili sono la loro ampiezza e morfologia.
Inoltre all'ECG si nota l'irregolarità degli intervalli tra i complessi ventricolari (intervallo R-R), in quanto molti stimoli atriali sono bloccati prima di arrivare ai ventricoli.
Alcuni episodi di fibrillazione atriale possono regredire spontaneamente. Nel caso in cui questo non avvenga, per interrompere la fibrillazione atriale, e ripristinare quindi il ritmo sinusale, si può attuare la cardioversione, elettrica o farmacologica.
La cardioversione elettrica (CVE) consiste nella somministrazione di una scarica elettrica per mezzo di due piastre applicate al torace del paziente, cui consegue l'azzeramento del potenziale di azione delle cellule cardiache e l'interruzione quindi dell’aritmia.
La cardioversione farmacologica, invece, consiste nell'uso di alcune farmaci antiaritmici, come il propafenone, la flecainide e l'amiodarone.
Il successo della CV farmacologica dipende dalla durata della FA, raggiungendo l'80% nel caso in cui la FA sia insorta da meno di 24 ore, appena il 35% se la FA è persistente (ovvero se dura da più di 7 giorni).
Per quanto riguarda il controllo della frequenza, soprattutto nei pazienti anziani, diversi studi hanno dimostrato come tale strategia possa risultare una valida alternativa terapeutica. Essa può essere raggiunta con l'impiego di 3 diversi farmaci: digossina, beta bloccanti e calcio antagonisti.
Come detto in precedenza, poiché la FA aumenta il rischio di eventi tromboembolici, tutti i pazienti affetti da patologia cardiaca valvolare e FA richiedono la terapia anticoagulante orale (TAO), con i dicumarolici (Warfarin).
Nei pazienti con FA non dipendente da causa valvolare, l'indicazione al trattamento anticoagulante dipende dal rischio tromboembolico calcolato in base ai fattori di rischio: scompenso cardiaco, ipertensione, fumo, età > 75 anni, sesso, diabete mellito, precedente episodio di TIA o ictus.
Va tuttavia ricordato che impostare una terapia a base di dicumarolici aumenta comunque il rischio emorragico, quindi bisogna sempre valutare in toto la situazione paziente per paziente.
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