Con il termine talassemia si intendono una serie di difetti genetici che condizionano la corretta sintesi dell’emoglobina, la proteina contenuta nei globuli rossi che garantisce il trasporto dell’ossigeno dal sangue ai tessuti e la raccolta dell'anidride carbonica dai tessuti ai polmoni.
Il termine talassemia è stato introdotto agli inizi del ‘900 per descrivere la malattia del sangue che si manifestava con maggiore frequenza nei paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo (in greco Thalassa).
La talassemia, infatti, è particolarmente diffusa fra le popolazioni di origine mediterranea, asiatica e africana ovvero nelle zone dove in passato era endemica la malaria.
La malaria è una malattia trasmessa da un parassita che si riproduce all’interno dei globuli rossi: le persone talassemiche, non nella sua forma più grave, hanno globuli rossi dalla forma alterata e forse proprio quest’alterazione rende più difficoltoso per il pasmodio della malaria replicarsi, questo nei secoli ha consentito ai talassemici di sopravvivere.
In Italia oggi si stima che ci siano due milioni e mezzo di portatori sani di talassemia concentrati soprattutto in Sicilia, Sardegna, regioni meridionali e delta del Po, sono circa 7000, invece, i soggetti talassemici nella forma più grave ovvero in omozigosi.
L'emoglobina è una proteina dalla struttura complessa nella quale sono riconoscibili 4 subunità proteiche più piccole: due sub unità α e due sub unità β; nel feto invece, è presente l’emoglobina fetale caratterizzata dalla presenza di due catene α e due catene γ.
Ciascuna delle sub unità che costituiscono la proteina emoglobina sono codificate su geni diversi: alterazioni a livello di questi geni determinano la talassemia, che si esprime in forma diversa a seconda delle alterazioni che la inducono.
Si riconoscono 3 tipi di talassemia: la α-talassemia in cui manca la produzione della sub unità α, la β-talassemia in cui manca la produzione della sub unità β e la δ-talassemia.
Nell'α-talassemia mancano, in quantità variabile, le catene α e quindi si registra un eccesso di catene β che danno vita a molecole di emoglobina instabili.
Le catene α sono codificate da due geni materni e due paterni: se risultano alterati tutti e 4 i geni codificanti e quindi vi è una completa mancanza di catene α, si instaura una condizione di solito incompatibile con la vita, chiamata idrope fetale.
Se invece a funzionare è uno solo dei geni codificanti per le catene α, si parla di malattia da emoglobina H in cui c’è poca emoglobina e i globuli rossi sono piccoli: la condizione si manifesta nell'infanzia o nell’età adulta.
Se ci sono due geni che codificano correttamente per le catene α e due che non codificano affatto si parla di talassemia α di tipo 1: i globuli rossi sono quasi normali e la condizione può essere scambiata per un’anemia da carenza di ferro; i soggetti affetti da questa forma vengono definiti portatori classici.
Se a non codificare correttamente per le catene α è uno solo dei 4 geni coinvolti si parla di talassemia α-minor, dagli effetti minimi: si dice che questi soggetti sono portatori silenti di talassemia.
Nelle β-talassemie vi è un'errata codifica delle sub unità β e quindi un eccesso di catene α: tali catene, però, non sono in grado di organizzarsi in tetrameri, ma formano degli aggregati che si legano alla membrana dei globuli rossi danneggiandola.
A codificare per le sub unità β sono un allele materno e uno paterno, se entrambi gli alleli non codificano correttamente per le sub unità β si parla di β-talassemia major o morbo di Cooley: se la condizione non viene affrontata adeguatamente (è risolutivo il trapianto di midollo osseo) la condizione può portare alla morte in giovane età.
Se a non codificare correttamente per le sub unità β è uno solo dei due alleli (non importa se di derivazione materna o paterna) la malattia è allo stato di portatore: il soggetto, di solito, è del tutto asintomatico, può esserci al massimo una leggera anemia.
Può infine essere presente una forma di β-talassemia a metà strada fra la major e lo stato di portatore: in questa evenienza possono rendersi necessarie trasfusioni in caso di gravidanza o malattia.
In condizioni fisiologiche nell'emoglobina adulta sono riconoscibili un 2-3% di catene δ: se il gene che codifica per queste catene emoglobiniche è alterato si possono riscontrare quantità variabili di queste catene, ma anche se la loro produzione non si realizza affatto la condizione è innocua poiché queste catene costituiscono una bassa percentuale sul totale.
Essere malati di talassemia può indurre pesanti complicanze alcune dovute alla malattia stessa altre alle terapie necessarie per affrontarla soprattutto le trasfusioni, che a lungo andare possono indurre un eccesso di ferro nel sangue e negli organi.
Il sovraccarico di ferro, in particolare, può danneggiare il cuore e il difetto cardiaco che più comunemente si riscontra è la cardiomiopatia congestizia che determina, a sua volta scompenso cardiaco.
L'eccesso di ferro, però, può indurre anche pericardite, angina e cardiomiopatia restrittiva.
La talassemia, comunque, determina importanti complicanze anche a livello renale, endocrino, del fegato e le trasfusioni possono facilitare l’insorgenza di infezioni.
La cura della talassemia è diversa a seconda della gravità con la quale la malattia stessa si manifesta.
Per la talassemia major la terapia risolutiva è rappresentata dal trapianto del midollo osseo; per i pazienti che non possono subire un intervento la cura sta nel ricevere, periodicamente, trasfusioni di sangue e nell’effettuare altrettanto periodicamente terapie chelanti il ferro in eccesso.
I portatori di talassemia di solito convivono bene con la loro malattia e non hanno bisogno di terapie particolari. Chi si sottopone periodicamente a trasfusioni incorre nell’eccesso di ferro poiché ogni sacca usata per la trasfusione di solito apporta dai 200 ai 250 mg di ferro: dopo 10-20 trasfusioni si evidenzia il sovraccarico; l’organismo umano, purtroppo, non dispone di un sistema capace di rimuovere il ferro in eccesso, che al contrario va a depositarsi a livello di fegato, rene e cuore.
Per evitare di compromettere seriamente la vita dei pazienti talassemici è necessario mettere in atto una terapia chelante il ferro, capace cioè di rimuovere il ferro in eccesso.
Se non si rimuove il ferro in eccesso il paziente mette a rischio la sua vita: per i malati di talassemia major la terapia chelante il ferro è una cura salvavita.
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