L'operazione di ernia al disco si rende necessaria quando le radici nervose sono particolarmente compresse dal disco erniato e i sintomi di sofferenza neurologica sono evidenti, oppure quando la sintomatologia dolorosa non è controllabile in altro modo.
L'operazione consiste nella rimozione dell'ernia per via chirurgica, con una tecnica tradizionale a cielo aperto oppure con le moderne tecniche percutanee. Abbiamo visto nell'articolo sull'ernia al disco una breve storia delle tecniche chirurgiche a cielo aperto, che con il tempo si sono evolute con lo scopo di sacrificare sempre meno strutture legamentose importanti per la stabilità lombare. Tuttavia quello che proprio non si può evitare con l'operazione a cielo aperto è la violazione dello spazio peridurale, che crea le premesse per la fibrosi cicatriziale post-chirurgica, una delle complicanze dell'operazione di ernia al disco.
Lo spazio peridurale contiene le radici nervose, le arterie, le vene e i linfatici extradurali, immersi in un tessuto adiposo semiliquido. È compreso tra il canale vertebrale (delimitato posteriormente dai legamenti gialli e anteriormente dal corpo vertebrale) e il sacco durale (che contiene tutte le strutture nervose).
Lo spazio peridurale è più ampio posteriormente e le sue dimensioni variano da 2-3 mm a livello di C1 fino a 10 mm a livello di L5.
Violare tale spazio predispone alla formazione di un tessuto cicatriziale che, se ipertrofico, può causare la compressione dei nervi generando un dolore simile a quello prodotto dall'ernia al disco.
La ricerca di soluzioni alternative all'operazione di ernia al disco a cielo aperto iniziò negli anni '50 e si concretizzò negli anni '60, con lo scopo di risolvere il problema delle complicanze post-operatorie della soluzione a cielo aperto, cioè la fibrosi cicatriziale e l'instabilità vertebrale.
Queste tecniche prevedono di accedere al disco per via percutanea, tramite una canula, senza attraversare il canale vertebrale. Ad oggi si sono sviluppati diversi tipi di operazione di ernia al disco a cielo chiuso, ma nessuna di esse ha soppiantato quella tradizionale perché non in tutti i casi è possibile operare in questo modo. La prima tecnica percutanea venne sperimentata nel 1963 da Lyman Smith. Si trattava di una nucleolisi enzimatica con papaina: il disco 7veniva raggiunto da una siringa, veniva iniettata della chimopapaina, un enzima proteolitico estratto dalla caryca papaia, in grado di scogliere il nucleo polposo ottenendo così la decopressione del nervo avveritibile già dopo pochi minuti, e che si completa nell'arco di 1-2 settimane.
L'operazione di ernia al disco percutanea con chimopapaina venne introdotta in Europa nel 1976 (in Belgio) e in Italia ad opera del dott. G. Bersi nel 1978.
Oggi, sebbene alcuni autori tra cui G. Bersi ritengano che sia molto efficace, questa tecnica è praticamente in disuso. Le motivazioni sono molteplici, per esempio in molti stati si sono utilizzati dosaggi eccessivi dell'enzima provocando effetti indesiderati anche gravi.
La discectomia percutanea meccanica consiste nell'inserimento di una canula, eventualmente TAC-guidata, che veicola strumenti chirurgici per l'asportazione dell'ernia.
Questa tecnica venne proposta in Giappone nel 1975 e poi perfezionata negli anni anche con l'introduzione dell'endoscopio (discoscopia) cioè della telecamera a fibre ottiche. Il problema maggiore di questa operazione è il riuscire ad accedere alla zona erniata ed esportar correttamente i frammenti di disco.
La chirurgia laser nasce ufficialmente nel 1986 anche se con risultati non molto soddisfacenti, per questo non è molto diffusa.
La nucleoplastica è una nuova tecnica introdotta nel 2000. È indicata nelle ernie discali contenute, qualora non sia sufficiente la terapia conservativa ma si ritenga eccessivo l'intervento a cielo aperto.
Per decomprimere la radice nervosa si introduce una sonda all'interno del disco, appena all'interno dell'anulus, la quale emette onde radio a bassa frequenza (100 Khz), che abladono il disco. Muovendo opportunamente la sonda all'interno del disco, si ricavano diversi canali, finché lo spazio generato è sufficiente per decomprimere la radice nervosa e risolvere la sintomatologia. La tecnica se ben eseguita non ha controindicazioni ed è efficace nell'80% dei casi.
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