Lo stretching (dall'inglese "to stretch", allungare) è ormai diventato sinonimo di allungamento muscolare, una tecnica che consente di aumentare la capacità di allungamento statico e dinamico di un muscolo, caratteristica necessaria per aumentare la mobilità articolare.
Nella teoria dell'allenamento vengono tradizionalmente descritti tre tipi di allungamento muscolare:
Lo stretching più utilizzato, e quello generalmente inteso, è l'allungamento statico-passivo.
Questo tipo di allungamento è stato messo in discussione dai sostenitori dello stretching "tradizionale", in quanto ritenuto poco efficace o addirittura dannoso.
L'allungamento dinamico - attivo consiste nell'esecuzione di cicli di stiramento ottenuti con movimenti oscillatori, di "slancio", che allungano ciclicamente e in modo dinamico il muscolo. I detrattori di questo metodo sostengono che il muscolo, quando viene allungato bruscamente, a causa di un fenomeno chiamato "riflesso da stiramento", si contrae bruscamente, impedendo l'allungamento ulteriore e addirittura predisponendo all'infortunio. Questo avviene, tuttavia, se il movimento è brusco e non sufficientemente controllato. Se i cicli di stiramento avvengono tramite movimenti fluidi e controllati, e il grado di allungamento viene gradualmente aumentato nel susseguirsi delle ripetizioni, fino al raggiungimento del limite di allungamento dei muscoli antagonisti, questa pratica è sicura, e garantisce ottimi risultati nell'allenamento della sensibilità all'allungamento negli sport che prevedono contromovimenti, come nei lanci o nel nuoto (in tutti gli stili tranne che nella rana).
Questo tipo di stretching va eseguito a muscoli ben caldi, dunque solo dopo un adeguato riscaldamento.
È un tipo di stretching di non semplice esecuzione, utilizzato soprattutto dai ginnasti. È stato ideato da Holt (1971) che gli diede il nome di PNF (Propioceptive Neuromuscolar Facilitation).
Si svolge in questo modo: il muscolo viene dapprima allungato, fino al massimo della sua estensibilità, quindi viene contratto in modo isometrico per 6 secondi, segue un rilassamento di 2 secondi, seguito da un nuovo ciclo di allungamento. Tutta la sequenza si ripete per un totale di circa 60 secondi per ogni muscolo.
Per contrarre isometricamente il muscolo, nella fase statica, occorre opporre una resistenza con un vincolo che impedisca il movimento dell'articolazione. L'esecuzione di questa tecnica richiede spesso l'assistenza di un collaboratore con grande esperienza, e comunque non è di facile realizzazione.
Questo tipo di tecnica è quella tradizionalmente nota come stretching ed è diventata famosa grazie al lavoro di Anderson (1982). Viene chiamata anche stretching dolce, o mantenuto, o allungamento passivo.
Lo stretching tradizionale, secondo Sölverborn (1983), consiste in due fasi: nella prima, chiamata "easy stretch", il muscolo viene allungato fino al punto che si può sopportare senza alcun fastidio. Questa posizione viene mantenuta per 30 secondi al massimo, tempo necessario affinché il senso di tensione diminuisca notevolmente; quindi si passa alla fase di "development stretch", dove si continua lentamente ad allungare il muscolo fino a raggiungere una nuova posizione statica, da mantenere per altri 30 secondi. Il tempo necessario per eseguire tutte e due le fasi di stretching non dovrebbe superare i 60 secondi e l'allungamento del muscolo non deve essere eccessivo.
I sostenitori dello stretching attribuiscono a questa pratica moltissimi vantaggi, come il miglioramento della circolazione sanguigna, l'attivazione nervosa della muscolatura e il suo riscaldamento, la prevenzione dei traumi, fino ad arrivare all'ipertrofia muscolare e al risparmio energetico.
Lo stretching classico è stato probabilmente sopravvalutato, e molti dei vantaggi descritti sono certamente raggiungibili in modo più efficace con le tecniche attive di mobilità articolare. Sicuramente è un fatto che ad alto livello lo stretching inteso come allungamento statico - passivo non sia la tecnica di elezione per l'allungamento muscolare, ma viene sempre associata a tecniche dinamiche.
Come abbiamo visto parlando di mobilità articolare, essa comprende tutta una serie di fattori che vanno ben oltre la semplice capacità di allungamento muscolare. Chiunque pratichi sport dovrebbe avere una mobilità articolare media di buon livello, e dovrebbe mantenerla nel tempo allenandola in modo sistematico.
I tipi di esercizi più semplici ed efficaci per ottenere questo risultato sono:
I primi (vedi articolo sulla mobilità articolare) andrebbero sempre eseguiti come parte integrante del riscaldamento, per 10-20 minuti, per attivare la muscolatura e raggiungere la mobilità necessaria per eseguire l'allenamento. In aggiunta, possono essere utilizzati come allenamento rigenerante, al posto del riposo.
Per un soggetto sedentario e senza trascorsi sportivi di un certo impegno, questi esercizi possono costituire un vero e proprio stimolo allenante, e sono ottimi per costuire in modo armonico la forza, la coordinazione e la mobilità articolare necessaria per poi dedicarsi ad attività più intense, una volta raggiunto un livello di forma superiore.
Lo stretching dovrebbe essere eseguito alla fine dell'allenamento, per ripristinare la mobilità articolare compromessa dall'irrigidimento muscolare, causato dall'allenamento stesso.
Per verificare il proprio grado di mobilità articolare esistono test specifici, realizzabili in modo semplice, che consentono di stabilire quali sono le nostre carenze, sulle quali bisognerà lavorare in modo specifico, concentrandosi sugli esercizi relativi all'articolazione rigida, fino al raggiungimento di una prestazione sufficiente. Ne parleremo in un prossimo articolo.
Negli sport che richiedono la mobilità particolare di alcune articolazioni (come la caviglia e le spalle nel nuoto), bisognerà dedicare ad esse un tempo maggiore rispetto alle altre, per raggiungere e mantenere una mobilità superiore alla media, ottimale per lo sport in questione.
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