Il concetto di pesca sostenibile non è nuovo, anche se solo negli ultimi anni (2017-2018) si sta assistendo a spot in televisione o sul web che consigliano di scegliere prodotti ittici che provengano da pesca sostenibile.
"Tieni d'occhio il blu", "Sostieni chi pesca sostenibile", "Peschiamoci chiaro", "Pesce bene comune"...sono solo esempi di slogan di associazioni o enti che promuovono un sempre maggiore implemento della pesca sostenibile e raccomandano i consumatori di operare una scelta etica, di comprare solo prodotti ittici che abbiano una qualche certificazione di pesca sostenibile.
Ormai i più avranno già visto che la Findus nelle etichette dei suoi prodotti ittici surgelati ha il marchio MSC (logo nella foto in basso) e non è l'unica azienda ad aver dimostrato sensibilità nei confronti di questo tema. Coop e Asdomar, per citare altri due esempi, commercializzano prodotti ittici con il marchio Friend of the Sea (logo sempre nelle imagini in basso).
Ripeto, sono solo alcuni esempi, tante aziende si stanno mobilitando e scelgono di attuare le pratiche che permetteranno loro di ottenere una qualche certificazione "blu", rispettosa del mare e delle risorse ittiche. Siamo sicuri che vedremo sempre più spesso questi marchi negli alimenti ittici che finiscono nel nostro carrello e sulle nostre tavole.
Ma cosa significa esattamente pesca sostenibile? E da dove nasce quest'esigenza?
In questo articolo ci proponiamo di rispondere a queste domande.
In passato si pensava che il mare fosse una risorsa illimitata, che il pesce non sarebbe mai scomparso dalle nostre tavole, che avrebbe continuato a riprodursi indipendentemente da come l'uomo si sarebbe comportato nei suoi confronti. Ovviamente, il presupposto era sbagliato.
Il mare e le creature marine seguono le logiche del ciclo vitale proprio come gli animali terrestri: nascono, crescono, si riproducono, muoiono e possono rischiare di estinguersi.
A maggior ragione, quest'ultima ipotesi si paventa nel caso in cui l'intervento dell'uomo si manifesta in maniera massiva come è successo negli ultimi decenni in cui, complice un aumento dei consumi di prodotti ittici a livello mondiale, la pesca professionale è diventata sempre più invasiva e distruttiva nei confronti delle risorse ittiche.
Questo è il presupposto da cui sono partite tantissime organizzazioni internazionali con lo scopo di sensibilizzare i Paesi a promuovere una pesca che fosse meno indiscriminata e meno deleteria ma più rispettosa, in una parola: SOSTENIBILE.
La FAO (Organizzazione mondiale per l'Alimentazione e l'Agricoltura), l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), l'OIE (Organizzazione per il Benessere Animale), Greenpeace e tante altre associazioni hanno dato il via alle loro campagne di sensibilizzazione con il risultato che molti Paesi hanno accolto la richiesta e hanno legiferato sul tema.
I due obiettivi che andrebbero portati avanti di pari passo sono da un lato evitare e sanzionare pratiche di pesca professionale invasive e/o illegali e dall'altro promuovere l'acquacoltura come nuova fonte di prodotti ittici.
L'Unione Europea nel 2013 ha modificato il Regolamento sulla Politica Comune della Pesca (Reg. 1380/2013/UE), esistente dagli anni Sessanta del secolo scorso introducendo questi due nuovi concetti: quello di pesca sostenibile e quello di acquacoltura sostenibile.
L'Unione Europea obbliga tutti gli Stati Membri a modificare le loro strategie sulla pesca e l'acquacoltura entro il 2020. Ogni Stato Membro, tra cui l'Italia, si è, dunque, impegnato a legiferare in materia di pesca e acquacoltura seguendo il principio della sostenibilità.
Quali sono gli accorgimenti che sono stati presi? Vediamo i principali.
L'obiettivo primario è, senza dubbio, quello di garantire la conservazione delle risorse biologiche marine, quindi di dare la possibilità agli esemplari giovanili di pesci, squali, molluschi e crostacei di diventare riproduttori, di deporre e fertilizzare le uova e di proseguire il ciclo biologico della specie.
La legge italiana è intervenuta su più fronti:
Da un altro lato, contemporaneamente, la legge italiana, su raccomandazione dell'UE, propone incentivi per favorire l'acquacoltura sostenibile. Un obiettivo a livello mondiale è, infatti, quello di fare in modo che nei prossimi decenni le attività di pesca vengano sospese e soppiantate completamente dall'acquacoltura, una pratica meno invasiva per la fauna ittica, che permette la conservazione degli stock ittici ma che rifornisce comunque la popolazione mondiale di alimenti ittici di qualità. Per questo scopo, è stato istituito il FEAMP, un fondo europeo di più di 6 milioni di euro, che verranno suddivisi tra tutti gli Stati Membri in favore di tutte le aziende che praticano già acquacoltura o che vogliono avviare tale attività.
Come già scritto, la pesca sostenibile non è una prerogativa italiana, nè esclusivamente europea, è un nuovo modo di concepire la pesca che sta interessando tutto il globo terrestre. Basti pensare che anche il governo degli USA ha imposto che la pesca del pesce pollack, il merluzzo d'Alaska, il pesce più pescato al mondo, venga praticata solo ed esclusivamente nel rispetto del ciclo biologico degli stock ittici.
Non è una moda, non è un capriccio, è una realtà che, per fortuna, sta sempre più prendendo piede nel mondo.
Le legislazioni internazionali hanno gettato le basi per un giusto intervento: la tutela delle risorse ittiche. Da questo buon presupposto sono sorte alcune associazioni di certificazione di pesca sostenibile tra cui le due principlai, molto attive anche in Italia e in Europa, sono le sopracitate MSC (Marine Stewardship Council) e Friend of the Sea.
Molte sono le critiche mosse a questi enti certificatori (come quella riportata in un articolo del Guardian del 2021), che non stanno facendo abbastanza, che non sono affidabili, che non ci sono adeguati controlli, che anche il pescato sostenibile proviene da un sovrasfruttamento della pesca, che solo il ritorno a una pesca artigianale potrebbe riuscire ad arginare il problema...
La nostra posizione vuole rimanere distaccata, non prendiamo le parti di nessuno, non è nostro compito, ma vogliamo semplicemente sottolineare che iniziare a fare qualcosa (queste certificazioni sono nate da circa una decina d'anni) è sempre meglio di niente.
Sensibilizzare l'opinione pubblica, stabilire dei principi e dei limiti, monitorare regolarmente la situazione degli stock ittici, pubblicare i propri obiettivi e successi in materia di tutela delle risorse marine...è il primo passo che andava fatto.
Certo, mai vorremmo che ottenere un marchio di pesca sostenibile diventi esclusivamente un business per vendere di più (ovvio che purtroppo, in parte, lo sia...) e ci aspettiamo che dietro a quei marchi ci sia una scelta consapevole ed etica sia da parte dell'azienda che ne fa richiesta sia da parte dell'ente certificatore.
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