Dieta a zona: funziona?

La dieta a zona è il modello alimentare lanciato dal biochimico americano Berry Sears nel 1995, con l'uscita del primo libro "Come raggiungere la zona".

 

 

La dieta a zona promette il raggiungimento del benessere psicofisico tramite il controllo della secrezione dell'insulina da parte dell'organismo, il controllo della produzione ormonale mediata dall'alimentazione, una corretta attività fisica e la gestione dello stress.

La dieta a zona è divenuta molto famosa per aver messo l'accento per primo sull'importanza dei grassi essenziali e dei carboidrati ad alto indice glicemico nell'alimentazione anche se, come vedremo, si basa su presupposti scientifici più che discutibili. In particolare, la dieta a zona pone l'accento sull'importanza degli eicosanoidi, i superormoni che regolano moltissime funzioni vitali dell'organismo. Secondo Sears una alimentazione corretta sarebbe in grado di aumentare la produzione di eicosanoidi buoni e limitare la produzione di quelli cattivi, al punto da riuscire a far regredire malattie degenerative molto gravi come il diabete, il cancro, l'AIDS, le malattie autoimmuni (lupus, artrite reumatoide, dermatite atopica); e di migliorare le prestazioni sportive degli atleti in modo eclatante.

 

 

I libri ufficiali di Berry Sears sulla zona, tradotti in italiano, sono tantissimi, vediamone alcuni, quelli pubblicati fino al 2005, ma l'epopea è continuata (nel 2018 è uscito l'ennesimo):

  • "In Zona con la soia", seconda edizione del 2005
  • "Come raggiungere La Zona", seconda edizione del 2005
  • "La Zona anti età", seconda edizione del 2005
  • "7 Giorni con La Zona", seconda edizione del 2004
  • "La Zona Omega 3x" del 2003

Esistono in Italia alcuni nutrizionisti che hanno scritto libri sulla zona, vedi per esempio la dieta a zona italiana, e libri di ricette, come Daniela Morandi.

Caratteristiche e limiti della zona

Dieta a zona

Sears ha avuto il merito di individuare nell'eccesso di carboidrati, osannati dai nutrizionisti ufficiali, una delle principali cause del soprappeso; inoltre ha posto l'accento sui grassi essenziali, nutrienti importantissimi la cui carenza è molto diffusa. Purtroppo, preso da manie di grandezza e nel tentativo di rendere la sua teoria molto popolare, ha commesso gravi leggerezze che hanno vanificato gli ottimi punti di partenza, facendo diventare la dieta a zona un modello pieno di incoerenze.

I pilastri della dieta a zona sono:

  • la ripartizione dei macronutrienti (40% carboidrati, 30% proteine, 30% grassi), o meglio il rapporto proteine/carboidrati minore di 0.6, che consentirebbe di tenere sotto controllo la produzione di insulina, evitando il meccanismo perverso della fame continua e la produzione di eicosanoidi cattivi;
  • il rapporto tra acidi grassi omega 6 e omega 3, che dovrebbe essere pari a 4 per favorire la produzione di eicosanoidi buoni.

In questo ragionamento Sears ha commesso alcuni errori piuttosto grossolani, volutamente o meno, per perorare la sua teoria ignorando in modo palese le contraddizioni e le evidenze scientifiche che confutano le sue conclusioni.

Anche la comunità scientifica si è scomodata per smascherare queste falle nella teoria di Sears, uso l'aggettivo "scomodata" perché basta avere un minimo di basi di fisiologia per capire quanto siano forzate le conclusioni di Sears e quanto siano errate dal punto di vista scientifico alcune sue affermazioni.

Un esempio è dato da questo articolo: "The Zone Diet Phenomenon: A Closer Look at the Science behind the Claims", di Samuel N. Cheuvront, PhD, RD, U.S. Army Research Institute of Environmental Medicine, Natick, Maine; che afferma più o meno le stesse cose che trovate nel seguito di questo articolo.

1) Il pilastro della zona, ovvero il fatto che l'aumento della glicemia e quindi il rilascio di insulina dipenda dal rapporto tra carboidrati e proteine è un falso scientifico

L'aumento della glicemia non dipende dal rapporto carboidrati/proteine, ma dalla semplice equazione:

  • carboidrati x 0,9 + proteine x 0,5 + grassi x 0,1

riportata in qualunque testo universitario di alimentazione. Questa equazione cosa dimostra? Che non è vero che per mantenere bassa la glicemia occorre un giusto rapporto tra proteine e carboidrati, ma è sufficiente, a parità di calorie, sostituire parte dei carboidrati con le proteine o, ancora meglio, con i grassi. Perché le proteine determinano un aumento della glicemia e un rilascio di insulina, che può essere anche notevole come nel caso delle proteine del siero del latte.

 

 

Per capire meglio questo concetto, prendiamo questi due pasti, il primo lontanissimo dalla zona, il secondo perfettamente in zona.

  1. 50 g di pane + 23 g di olio = 351 kcal, ripartizione C 58% P 5% G 37%
  2. 50 g di pane + 100 g di prosciutto cotto sgrassato + 8 g di olio = 348 kcal C 39% P 30% G 31%

Qualunque buon zonista penserebbe che sia il primo pasto a determinare un maggior incremento della glicemia, e quindi dell'insulina. E invece questo non accade, per verificarlo basta applicare la formula sopra riportata oppure fare una prova sul campo, misurando la glicemia dopo 30 minuti dall'assunzione dei due pasti.

Quindi la dieta a zona si basa su un presupposto scientificamente falso.

2) La dieta a zona, con una ripartizione 40-30-30, non rispetta i bisogni dell'organismo

Prendiamo un soggetto di 40 anni, sedentario, che pesa 70 kg. Secondo la zona bisogna partire dal fabbisogno proteico (peso corporeo moltiplicato per 1,1), e risalire alle calorie assunte con il rapporto 40-30-30.

Risultato: 308 kcal da proteine, 308 da grassi, 410 da carboidrati, totale 1026 kcal.

Anche considerando il rapporto più basso tra proteine e carboidrati (0.6) si arriva a poco più di 1100 kcal. Questo valore può essere buono per pedere peso (anche se comunque un po' troppo basso), ma non per mantenerlo (è decisamente troppo basso).

Il fabbisogno calorico reale del nostro soggetto è di almeno 1600 kcal (con una vita molto sedentaria, altrimenti aumentano).

Sears consiglia, in questi casi, di aumentare i grassi: aumentando i carboidrati, infatti, si aumenterebbe il rapporto proteine/carboidrati con sovrapproduzione di insulina, mentre aumentando le proteine la dieta diventerebbe iperproteica.

Il nostro soggetto dovrebbe quindi assumere 1600 - (410 + 308) = 882 kcal da grassi, pari a circa 100 g.

La ripartizione dei macronutrienti diventerebbe 25% carboidrati, 20% proteine e 55% grassi. Alla faccia della dieta equilibrata!

Aggiungiamo che i grassi dovrebbero provenire, come vedremo in seguito, quasi esclusivamente da olio extravergine di oliva. Chiunque abbia un po' di dimestichezza con il calcolo delle calorie si renderà conto subito che la dieta a zona diventa una dieta da maniaci dell'alimentazione!

3) L'insulina non ha sempre effetti negativi

Qualunque sostanza prodotta dal nostro corpo ha effetti positivi, è solo l'eccesso che diventa negativo.

Chi pratica sport di resistenza abbastanza intensamente consuma le scorte di glicogeno dei muscoli e per garantire un recupero ottimale deve reintegrarle entro qualche ora dall'allenamento.

Per farlo deve assumere carboidrati ad alto indice glicemico, poiché è proprio l'insulina che ordina alle cellule di ripristinare le scorte di glicogeno. Se le scorte non vengono ripristinate, la prestazione cala, i muscoli non funzionano come dovrebbero e si rischiano addirittura infortuni.

La dieta a zona non considera questa evenienza, diventando di fatto una dieta solo per sedentari o per chi pratica attività sportiva blanda (paradossalmente, invece, è molto diffusa negli ambienti sportivi).

4) È da illusi pensare di pilotare la produzione di eicosanoidi

Lo schema su cui si basa la dieta a zona è lo stesso che trovate in questo articolo.

Osservandolo bene, si scopre che il sistema è autoregolato e difficilmente si riesce a "pilotare" il meccanismo in un'unica direzione.

La dieta a zona consiglia un'integrazione di omega 3 nella dieta, che costituiscono i "mattoni" per produrre eicosanoidi.

Sears sconsiglia l'assunzione di acido arachidonico, precursore di eicosaniodi cattivi, e di acido linolenico, che poiché inibisce uno dei passaggi della produzione di eicosanoidi buoni.

In realtà l'acido linolenico è il precursore degli stessi omega 3, mentre l'acido arachidonico può trasformarsi anche in eicosanoidi buoni.

È evidente il tentativo di semplificare un meccanismo il cui studio è agli albori, facendo credere di "aver capito tutto".

La dieta a zona promuove un rapporto tra omega 6 e omega 3 di 4:1: a parte il fatto che le ricerche nel campo del rapporto tra grassi essenziali sono ancora agli albori e gli esperimenti sono solo su animali, raggiungere questo rapporto è tutt'altro che scontato, cioè non è possibile mantenerlo solo con consigli di carattere generale, come evitare un alimento a favore di un'altro.

La dieta a zona, invece, si limita a questi consigli molto "popolari", sia per controllare il rapporto dei grassi essenziali, sia per controllare il rapporto dei macronutrienti.

In una dieta ipocalorica (come la zona) è già piuttosto difficile garantire i livelli minimi di assunzione di grassi essenziali, ma di questo Sears non si preoccupa, infatti non fornisce indicazioni in tal senso, soprattutto per quanto riguarda le quantità degli alimenti per raggiungere le dosi minime.

Il colmo lo si raggiunge con la storia del GLA in tracce nell'avena.

Se l'assunzione di grassi deve essere così precisa per garantire un rapporto di 1:4 tra omega 3 e omega 6, come faccio ad assumere un alimento senza sapere quanti grassi omega 3 contiene?

In realtà l'avena non contiene GLA, a Sears conveniva promuovere questo alimento perché a basso indice glicemico e piuttosto diffuso, soprattutto in USA. Gli alimenti che contengono GLA in quantità non trascurabile sono la borragine e l'olio di semi di canapa (due alimenti abbastanza difficili da reperire).

5) Promettere la guarigione da malattie autoimmuni è un insulto ai malati di queste patologie

Vedi l'articolo dieta a zona e lupus, e l'articolo su dieta e malattie autoimmuni.

La dieta a zona funziona? Sì, ma solo per dimagrire.

Come abbiamo visto la dieta a zona non soddisfa i fabbisogni dell'organismo, soprattutto negli sportivi che praticano seriamente sport di resistenza come il nuoto, la corsa e il ciclismo, perché sottovaluta l'importanza dei carboidrati e dell'insulina per ripristinare le scorte di glicogeno. Questo è l'errore più grave, se consideriamo una dieta normocalorica.

Nessuno è riuscito, solo con l'alimentazione, ad aumentare le prestazioni di un essere umano sano: l'unica cosa che si riesce a fare (e sono in molti a farlo) è quella di peggiorare le prestazioni e lo stato di salute con una dieta sbagliata.

La dieta a zona, invece, promette di aumentare in modo clamoroso le prestazioni degli sportivi che la seguono. Un dato basta per dimostrare che questo non è vero: gli atleti d'elite seguono diete diverse tra loro ma nessuno primeggia sempre.

È evidente che il modello alimentare conta molto meno del talento e dell'allenamento.

Sears ha cercato di proporre un modello in apparenza sofisticatissimo, ma che in realtà (secondo lui) si può seguire anche con il metodo ad occhio. Molte persone che seguono la dieta a zona, e sono soddisfatte, si trovano bene senza fare alcun calcolo, ma seguendo il metodo a "pacchetti" del libro. Essi sono convinti di seguire un regime alimentare molto sofisticato, in modo molto semplice, con pochi consigli di carattere generale.

Spesso sono lontanissimi dal 40-30-30 e altrettanto spesso non raggiungono nemmeno le dosi minime di omega 3 raccomandate dalle autorità internazionali nel campo della nutrizione.

Certamente, con il metodo a occhio e senza indagare troppo, non si scoprono le palesi contraddizioni della dieta a zona.

Chi segue la zona in modo rigoroso diventa ben presto un maniaco dell'alimentazione: per seguirla bisogna limitare drasticamente intere categorie di alimenti, e vivere praticamente solo di grassi, e questo vale soprattutto per gli sportivi, che hanno bisogno di un apporto energetico superiore alle 2000 kcal al giorno.

Chi invece pratica il metodo ad occhio, quasi sempre è lontanissimo dalla zona: di fatto, nalla maggior parte dei casi viene seguita una dieta equilibrata, con una più corretta ripartizione 50% carboidrati, 30% grassi e 20% proteine.

La dieta a zona per dimagrire

Se lo scopo della dieta è quello di perdere peso, allora sì, la dieta a zona funziona, poiché soddisfa tutti i criteri di una dieta che funziona, e cioè:

  • limitare l'apporto di calorie;
  • è composta da alimenti sazianti;
  • è abbastanza equilibrata nei macronutrienti.

A tal proposito è interessante riportare l'opinione di Bonnie Liebman, del Center for Science in the Public Interest, che hanno inserito la dieta a zona tra le diete "accettabili", al contrario della dieta Atkins e di altre. Interessante soprattutto riportare il commento della Liebman... Che si commenta da solo: "If you ignore the scientific rhetoric, the diet isn't bad".

Tuttavia non è di certo la dieta migliore per dimagrire: infatti ignora due aspetti molto importanti, cioè quello che al mattino è più opportuno uscire dalla zona (assumendo solo carboidrati) per far partire il metabolismo, visto che il meccanismo dell'insulina è più pigro, e non adotta strategie contro l'abbassamento del metabolismo in seguito a una dieta ipocalorica prolungata (strategie che prevedono di dividere la dieta in periodi di attacco e di riposo attentamente pianificati).

La zona limita l'apporto di calorie (anche troppo, come abbiamo visto), contiene alimenti sazianti poiché elimina quelli meno sazianti (dolci, pane, pasta, legumi) e spinge il consumo di verdura, frutta, carne e pesce, è equilibrata, anzi lo diventa "per sbaglio" con il metodo a occhio, perché che chi lo segue tende in modo naturale a limare gli eccessi, quindi ad aumentare i carboidrati.

 

 

 

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