I wet market, divenuti famosi soprattutto in seguito alla recente epidemia da Covid-19, sono i mercati aperti tipici dell'Asia, la cui recente fama ha fatto emergere problematiche di natura culturale ma anche sanitaria. A favore della loro chiusura vi sono numerose associazioni ambientaliste ed animaliste e diverse sono le petizioni realizzate per questo scopo.
Vediamo più nel dettaglio cosa sono davvero questi "mercati umidi" e cosa comporta la loro presenza nei paesi in cui sono molto diffusi ed utilizzati.
I wet market, o mercati umidi, sono dei mercati all'aperto presenti nell'Asia Orientale in cui vengono venduti prodotti alimentari freschi, come carne, pesce o frutta. Spesso, ma non sempre, vengono venduti anche animali selvatici ed esotici e talvolta la macellazione della carne avviene al momento stesso della vendita.
Il nome "wet market" deriva dall'acqua che bagna i pavimenti di questi mercati, usata per lavare via il sangue degli animali di cui sono sempre intrisi. La loro diffusione è soprattutto in Cina, in Thailandia e in Vietnam, ma si trovano anche in altri paesi e continenti, compresi quelli africani, in Oceania e nelle Americhe in paesi come Messico e Colombia, così come a New York e in altre parte degli USA. Sono il simbolo della cultura orientale e sono molto frequentati sia da turisti che vogliono fare qualche foto particolare, sia dagli abitanti del posto che fanno acquisti. Non sempre sono autorizzati e di conseguenza regolamentati.
I wet markets cinesi sono diventati di recente famosi perchè ritenuti responsabili della comparsa e diffusione del virus SARS-CoV-2, che ha scatenato la recente pandemia globale nel 2020. Questo legame è nato dal fatto che, i primi pazienti accertati malati di Covid-19, erano entrati in contatto con questi mercati in quanto clienti o venditori. Già in tempi precedenti i wet market erano stati focolaio di infezione, come nel caso del 2000-2004 per l'epidemia di SARS, in seguito alla quale erano stati chiusi per un periodo, per poi essere stati di nuovo riabilitati di recente.
Ai mercati umidi si affiancano, sempre negli stessi paesi, i "mercati secchi" o "dry markets", in cui vengono venduti oggetti come stoffe, materiale tecnologico e altri prodotti non deperibili.
All'interno di questi mercati, di solito all'aperto, vengono venduti esclusivamente prodotti freschi deperibili e non lavorati, tanto che spesso gli animali vengono macellati di fronte al cliente che propone l'acquisto. Nei supermercati, invece, i prodotti sono già lavorati e trasformati, spesso con conservanti che ne consentono una shelf life più lunga. Inoltre, in questi ultimi la pulizia e l'igiene ricevono una maggiore attenzione, tanto che talvolta sono stati costruiti dei mercati umidi in luoghi chiusi, che potevano quindi garantire una pulizia maggiore.
Il vantaggio offerto dai wet markets è che il cliente ha la possibilità di constatare la salute dell'animale quando quest'ultimo è ancora vivo e di conseguenza può vedere egli stesso la qualità del prodotto che sta acquistando. Questa possibilità è praticamente inesistente nei supermercati dove, ad eccezione di alcuni prodotti ittici, i prodotti vengono venduti già macellati e suddivisi in parti.
Talvolta, nei mercati umidi vengono venduti animali ancora in vita che il cliente può portare a casa e macellare egli stesso. Il giro d'affari è dell'ordine dei miliardi, soprattutto se si considera che in questi punti vendita è possibile acquistare anche animali rari e selvatici.
In linea generale, in paesi come la Cina i wet markets sono preferiti ai supermercati per gli acquisti di alimenti freschi. Questa usanza deriva dal fatto che nel paese l'uso dei frigoriferi nelle case è stato introdotto di recente, e quindi la popolazione è abituata a servirsi dei mercati in cui poter constatare l'effettiva freschezza degli alimenti e quindi potersi assicurare un prodotto di maggior durata. Ancora oggi nei piccoli paesini cinesi non sempre troviamo il frigorifero nelle case e gli abitanti vivono ancora come un tempo. Anche nelle grandi città, in cui questo elettrodomestico è diffuso come in Occidente, permane ancora il retaggio culturale che considera la carne macellata sul momento come più fresca rispetto a quella dei supermercati che, nonostante le migliori condizioni igieniche, non sempre viene vista come prodotto di qualità.
I wet markets attirano i cittadini asiatici anche perchè hanno prezzi inferiori rispetto a quelli de supermercato e anche perchè sono spesso luoghi di ritrovo fra loro, in cui possono trovare qualche ora di interazione sociale.
Questi mercati sono spesso oggetto di forti critiche da parte di più associazioni. Animal Equality, un'associazione che si occupa di contrastare la violenza sugli animali in tutto il mondo, ha indetto una petizione per la chiusura dei wet markets, e ha intenzione di presentarla poi all'ONU.
Inoltre, i wet markets, proprio perchè talvolta vendono animali selvatici, mettono in pericolo la biodiversità e le specie in via d'estinzione, come ammesso dalla Responsabile per la Biodiversità del Programma ONU per l'ambiente, Elizabeth Maruma Mrema.
La maggior critica che viene mossa nei confronti dei wet markets dal punto di vista etico riguarda le condizioni in cui vengono tenuti gli animali: in gabbie piccolissime, stipati gli uni vicino agli altri, senza alcuna attenzione nei confronti del benessere animale.
I wet market, soprattutto in seguito alla vendita degli animali selvatici, mettono ravvicinate tra loro specie che mai sarebbero entrate in contatto in natura. Inoltre, le norme igieniche non vengono quasi mai osservate e questo mette in pericolo la salute degli animali e dell'uomo. Infatti, i wet markets possono essere veicolo di malattie che si propagano dagli animali all'uomo, grazie anche ad insetti come mosche e zanzare, che sono vettori di patogeni. Tutto questo favorisce il "salto di specie" di virus e patogeni in generale che possono quindi arrivare all'uomo.
In seguito alla pandemia da Covid-19, diversi mercati umidi sono stati indagati, non solo in Cina ma anche in Africa e nel resto dell'Asia. In seguito a queste indagini e rapporti, sono stati fatti diversi appelli per la chiusura di questi mercati in quanto reputati pericolosi per le zoonosi, quindi per il passaggio delle malattie dagli animali all'uomo, ma anche per la salute delle specie animali in via di estinzione, messe a rischio dal contatto con altri animali infetti. Tra gli appelli di questo tipo, uno è stato fatto dalla Responsabile per la Biodiversità del Programma ONU per l'ambiente, Elizabeth Maruma Mrema. Quest'ultima in una recente intervista, ha detto di volere la chiusura di tutti i mercati di animali vivi, per proteggere la natura e prenderci cura della Terra. Allo stesso tempo, però, ha espresso la necessità di sostituire questi mercati con politiche attive a sostegno dell'alimentazione e dell'economia di questi paesi che, soprattutto nel caso dell'Africa, fondano sui wet markets il loro principale giro di affari in campo alimentare. Le azioni politiche in questo senso sono molto importanti per evitare che, dopo la chiusura dei wet markets, compaia il mercato nero degli animali vivi.
L'origine dell'epidemia del Covid-19 è ritenuta, dalla comunità scientifica, proprio in un mercato umido di Whuan, città della Cina e primo focolaio di diffusione del virus. Questo deriva dal fatto che spesso nei wet market si trovano animali di diverse tipologie, comprese quelle in via d'estinzione o che comunque non si potrebbero cacciare. Ognuno di essi viene tenuto in gabbie molto piccole, in bella mostra dei mercati umidi, e macellati appunto sul posto. Gli animali così stipati e vicini gli uni agli altri, possono trasmettersi a vicenda, e all'uomo, i virus. Questa possibilità era in realtà già conosciuta ed è stata dimostrata già più volte da diversi studi scientifici.
Il "salto di specie" dei virus viene favorito dalle scarse condizioni igieniche dei banchi del mercato, in cui si mescola il sangue di animali selvatici morti a quello degli animali ancora da macellare. Venditori e clienti sono quindi costantemente esposti al rischio di zoonosi, anche perchè gli scarti animali vengono spesso gettati per terra senza la minima attenzione per le norme igieniche contro la contaminazione crociata.
In linea ufficiale nei wet markets non dovrebbero esserci animali selvatici e rari, come i pipistrelli. In teoria, i mercati bagnati tradizionali vendono carne appena macellata proveniente da animali di consumo e uso comune. Nei wet markets a norma di legge gli animali dovrebbero provenire solo da allevamenti e accanto ad essi vengono venduti anche spezie, pesce ed erbe aromatiche.
Seppure i wet markets rispettassero davvero queste norme, e non vendessero ad esempio le specie selvatiche, sarebbero comunque potenziali focolai di infezioni. Questo è dovuto al fatto che le norme igieniche non vengono rispettate e inducono alla diffusione di nuovi virus. Degli esempi ci giungono dal passato con gli episodi di influenza aviaria H5N1 e con la diffusione della SARS agli inizi del 2000.
I wet markets diventano wildlife markets quando vendono anche specie selvatiche e rare. Fra queste abbiamo pipistrelli, topi, cuccioli di lupo, pavoni, porcospini, koala, salamandre e serpenti. In realtà, la suddivisione tra i due tipi di mercati non esiste, perchè accanto alla vendita di animali da allevamento si aggiunge spesso quella delle specie più rare.
Vi sono state alcune soluzioni e decisioni politiche adottate da alcuni paesi per contenere ed evitare il diffondersi delle infezioni nei wet markets. Fra queste vi è la decisione della Malesia, presa nel marzo 2020, in cui i wet markets sono stati chiusi, di qualsiasi genere essi siano.
I mercati umidi sono ancora oggi, giugno 2020, aperti in Cina, in quanto ritenuti in linea con la legge. Essi vendono infatti la stessa carne dei supermercati ma macellata sul momento, quindi in apparenza per la legislazione del paese non ci sarebbero infrazioni. La resistenza nella chiusura di tutti i wet markets sta nel fatto che danno da lavorare a tantissime persone, per un giro d'affari davvero molto grande. Inoltre, il rischio di zoonosi a partire dalla vendita di animali da allevamento è considerato limitato.
Il divieto della Cina, arrivato dopo la pandemia da Covid-19, verte sulla vendita di animali selvatici, quindi su quei mercati che sono anche wildlife market. Dopo una chiusura iniziale di tutti i wet markets durante la quarantena per il contenimento del virus SARS-CoV-2, dall'8 aprile i wet markets sono nuovamente aperti ma con alcune restrizioni. in seguito a queste ultime, si è registrato un calo degli acquisti, perchè l'opinione pubblica associa ormai questi mercati ad un qualcosa di pericoloso.
Nonostante i divieti in merito, si ritiene che in alcuni mercati continui la vendita in nero degli animali selvatici.
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