Fin dai primi anni di vita si possono cominciare a delineare quelle abitudini alimentari che - se persistenti nel tempo - facilmente portano ad uno stato di sovrappeso o di obesità già nel bambino.
Infatti non è infrequente trovarsi di fronte - e soprattutto in Italia ! - a bambini che da un lato assumono un eccesso di proteine totali, grassi saturi, colesterolo, zuccheri semplici, mentre dall'altro la loro alimentazione è carente di carboidrati a basso indice glicemico, di fibre alimentari, di verdura, di frutta.
Si dice spesso che nella vita i gusti cambiano, e questo è assolutamente vero; ciò che non cambia, però, o cambia con estrema difficoltà e notevole sforzo personale, è l'approccio al cibo: numerosi studi provano che chi ha avuto in prima e seconda infanzia un'alimentazione dal gusto poco variato e con una ristretta scelta di alimenti tenderà a mantenere quest'approccio anche nelle età successive e nella vita adulta, e anche quando i suoi gusti personali cambieranno, la scelta degli alimenti ne sarà comunque penalizzata, con pochi alimenti nuovi che sostituiranno pochi altri alimenti non più apprezzati.
È infatti proprio in questo periodo (prima e seconda infanzia, ovvero tra 0 e 4 anni) che il bambino comincia prima a sviluppare i propri gusti e poi ad affinarli, ed è dunque di importanza fondamentale fare in modo che non sia appagato soltanto da cibi ipercalorici e soprattutto da cibi dolci, ma che si abitui invece a mangiare - o quanto meno a provare - di tutto, e soprattutto che inizi ad apprezzare ed amare frutta e verdura.
Riportiamo di seguito alcuni consigli qualitativi:
La capacità del bambino e della madre di sincronizzare i reciproci ritmi di richiesta di cure e accudimento facilitano nel piccolo le abilità di sintonizzarsi con la figura di accudimento prima e di identificare e distinguere i propri ritmi interni poi, ovvero lo aiutano ad abbozzare ed iniziare la costruzione dell'organizzazione di sé. Questo significa che se la madre fino a questo punto è stata in grado di riconoscere e distinguere le diverse esigenze del bambino, lo ha alimentato quando necessario, cullato, sgridato, scaldato a seconda delle necessità, il bambino dal canto suo è cresciuto in grado di differenziare ed esprimere distintamente i suoi bisogni: mangia se ha fame, esprime rabbia se irritato, chiede rassicurazione se ha paura, senza fare confusione tra questi stati d'animo e senza chiedere il cibo come soluzione di ogni disagio. Questa fase sembra infatti essere il periodo in cui si instaurano i successivi e più gravi disturbi dell'alimentazione fondati sulla difficoltà o incapacità a riconoscere i propri stati interni e a rispondere con variazione del proprio comportamento alimentare ad ogni oscillazione dei propri stati motivi.
A questa età le organizzazioni centrali di attaccamento sono già formulate, a seconda di queste il bambino reagisce ai cambiamenti, alle novità, all'inserimento all'asilo, ai cambiamenti alimentari e dei ritmi della sua giornata.
L'ingresso nella scuola costituisce una vera e propria rivoluzione che rompe l'unità del mondo del bambino. Le possibilità che in questa fase il bambino ha di leggersi negli altri e di differenziarsi costituisce uno degli aspetti centrali per la costruzione di un senso di sé accettabile ed adeguato.
È diventato molto più indipendente ed ha acquisito molte abilità tanto da pretendere di fare da solo molte cose difficili o pericolose, perché la fanno i grandi. La sua personalità comincia ad esprimersi ed a volersi affermare, compaiono i suoi gusti, i suoi amori e i suoi odi anche e soprattutto per certi alimenti.
Certamente rispettare i gusti e le propensioni del bambino senza forzarlo eccessivamente nella alimentazione, ma al tempo stesso offrire i cibi vari, insegnargli come stare educatamente a tavola, fare in modo che il pasto sia un momento sereno nel quale gli adulti offrono il modello di come sia piacevole assaggiare cose varie e come si sia piacevole l'occasione conviviale.
Il fatto che il piccolo cominci ad andare a scuola e spesso si trattenga lì anche per il pranzo è un'ottima occasione, così come quella di avere l'opportunità di mangiare qualche volta da e con un amichetto o in un locale pubblico, per distanziarsi dalle abitudini familiari - e qualche volta dai conflitti relativi al cibo - per sperimentare meglio come questo sia soprattutto un occasione di libertà. Per questo, farlo partecipare, almeno qualche volta, alla preparazione dei cibi può aumentare il suo senso di competenza e facilitare il suo rapporto, presente ma soprattutto futuro, col cibo.
Evitare di far diventare i cibi occasione di guerre e duelli quotidiani: se il bambino si ostina a preferire solo poche cose, sarebbe bene proseguire comunque nel training di abituarlo a variare le sue scelte, ma senza insistere in maniera esagerata e rigida, e con sufficiente gradualità, evitando di entrare con lui in un braccio di ferro su questo.
Evitate pure di continuare a imboccarlo per farlo mangiare di più e più in fretta, poiché a questa età sa benissimo farlo da solo come peraltro accade a scuola.
Ancora, evitare di offrire i dolci e merendine perché non ha mangiato a tavola, così come evitare di trasformare la tavola di famiglia in un ristorante à la carte. Nella stessa ottica, ci si dovrebbe assicurare che i pasti non durino per tempi interminabili: sarà bene sparecchiare dopo una decina, al massimo quindici minuti a pietanza, rimandando tutto al prossimo pasto. Proseguendo nell'obiettivo di fissare delle regole comportamentali relative all'alimentazione, è doveroso non consentire che si comporti maleducatamente a tavola, purché mangi; se poi i genitori decidessero spontaneamente di fare a ameno della televisione durante i pasti, si getteranno le basi sia per un miglioramento della comunicazione intrafamiliare, sia per evitare in futuro lotte all'ultimo sangue su quale programma debba essere visto!
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