Il monossido di carbonio (CO) è un gas inodore, incolore, non irritante, di densità molto vicina a quella dell'aria, che brucia con formazione di anidride carbonica (CO2).
È tra le sostanze che mietono più vittime per intossicazione acuta, questo perché la sua presenza è praticamente inavvertibile se mescolato all'aria in dosi tossiche.
È presente in natura nelle esalazioni vulcaniche, ma può formarsi da qualsiasi processo di incompleta combustione di sostante contenenti carbonio (carbone, legno, olio combustibile, idrocarburi liquidi e gassosi, ecc…) in condizioni di carenza di ossigeno tali da impedirne la completa ossidazione ad anidride carbonica.
Le fonti di monossido di carbonio che espongono di più al rischio di intossicazione acuta sono senza dubbio quelle presenti in ambienti domestici, quando si abbia a che fare con apparati come stufe, caldaie, scaldabagni, cucine, radiatori, camini e bracieri.
Il pericolo è collegato sia al tempo di esposizione che alla concentrazione del gas nell'ambiente e si concretizza nel momento in cui la combustione avviene all'interno di uno spazio confinato senza le opportune cautele, in presenza di limitate quantità di ossigeno, o quando l'impianto manifesti un cattivo funzionamento.
Un'altra fonte è data dal gas di città o gas illuminante che contiene come combustibile monossido di carbonio in quantità variabile dal 5 al 14%.
Perdite o rotture nel sistema di distribuzione possono portare ad una invasione di locali abitati senza che il gas venga avvertito.
Anche lo scarico di autovetture ha la possibilità di provocare avvelenamento da CO soprattutto se si lascia il motore acceso in uno spazio chiuso come un'autorimessa.
Il monossido di carbonio è anche un componente in piccolissime percentuali dell'atmosfera e, a causa soprattutto del traffico veicolare, ne rappresenta uno dei principali inquinanti.
La pericolosità per l'uomo è dovuta al fatto che il monossido di carbonio, possedendo un'affinità da 200 a 300 volte superiore a quella dell'ossigeno per l'emoglobina (proteina contenuta nel sangue responsabile del trasporto di ossigeno ai tessuti, nella respirazione, a livello alveolare nel plasma), si fissa ad essa in maniera preferenziale dando origine alla carbossiemoglobina (HbCO) ed impedisce la formazione di ossiemoglobina (HbO2) che garantisce i normali processi di ossigenazione.
I sintomi dell'avvelenamento da monossido di carbonio dipendono dalle concentrazioni di HbCO nel sangue. Valori che vanno fino al 10% rispetto all'emoglobina totale non comportano segni evidenti di intossicazione, che si manifestano invece per percentuali di HbCO dal 20 al 60-70%.
Si ritiene, a riguardo, che la concentrazione sia fatale quando i 2/3 dell'emoglobina sono combinati con il monossido di carbonio (il "coefficiente letale" è convenzionalmente indicato nel 66,6% di HbCO).
Va ricordato che può esservi una diversa risposta individuale all'agente tossico con la possibilità di produrre anche un abbassamento della soglia da ritenersi mortale.
Negli anziani, in ragione della diminuita capacità respiratoria, il pericolo di morte viene indicato per valori anche inferiori al 50% di HbCO.
I bambini, gli anemici e coloro che soffrono di disturbi cardiovascolari sono più sensibili agli effetti tossici dell'ossido di carbonio.
L'eliminazione dell'ossido di carbonio dal legame HbCO è lenta, risultando di 4-5 ore l'emivita biologica in adulti sani.
Data la costante presenza di monossido di carbonio nell'aria, nel sangue di ogni individuo se ne riscontrano quasi sempre piccole quantità non eccedenti l'1% come HbCO. Nei soggetti fumatori invece la percentuale può raggiungere valori attorno all'8-10%, in quanto nelle sigarette è presente il 6-8% di CO.
L'estrema insidiosità nel CO, gas subdolo, perché inavvertibile, che per esempio in concentrazioni dello 0,15-0,2% nell'aria conduce a morte in circa mezz'ora, fa sì che numerosissime siano le intossicazioni acute mortali di natura accidentale, meno frequenti i suicidi, estremamente rari i casi di omicidio.
Segni di avvelenamento acuto sono fondamentalmente il risultato di danno anossico di tutti i tessuti ed in particolare dell'encefalo e del miocardio, a seconda della frazione percentuale di HbCO rispetto al totale dell'ossiemoglobina (100%), si osservano:
Dopo l'avvelenamento se non vi è stata un'esposizione letale, lo stato del paziente ritorna normale, anche se uno stato comatoso, che sia durato più di 24 ore, lascia segni irreversibili a carico del sistema nervoso.
Tra i segni clinici ed i sintomi di avvelenamento cronico: emicrania, anemia, tachicardia, dolori precordiali, depressione, irritabilità e alterazioni del ciclo mestruale nelle donne.
Questa forma di avvelenamento cronico è caratteristico di lavori che si svolgono in un ambiente che contiene CO: garage, officine, ambienti cittadini fortemente inquinati e trafficati.
Il trattamento clinico dipende dal livello di saturazione dell'emoglobina.
Prima di tutto si rimuove il paziente dall'ambiente contenente CO e si somministra ossigeno se il livello di HbCO è > del 15%, altrimenti, se non eccede il 15% del totale dell'emoglobina, è sufficiente far respirare aria fresca.
Inoltre è opportuno immobilizzare il paziente, in quanto l'attività muscolare aumenta la richiesta di ossigeno e l'arrivo di questo al SNC è ridotto.
Tuttavia, quando il livello di HbCO supera il 40%, è necessario l'ossigeno in camera iperbarica.
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