Il morbo di Parkinson è una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale, dovuta alla perdita di cellule neuronali che producono la dopamina. I sintomi più caratteristici di questa patologia sono di tipo motorio: tremore; rigidità; lentezza nei movimenti; instabilità del cammino e della postura.
Questa malattia ha molti sinonimi, tra cui Parkinson, paralisi agitante e parkinsonismo primario e va distinta dai cosiddetti parkinsonismi, un insieme di patologie caratterizzate dai 4 sintomi elencati in precedenza (tremore, rigidità, lentezza nei movimenti, instabilità). I parkinsonismi comprendono il morbo di Parkinson (che è la forma più frequente), ma anche altre forme che hanno dei meccanismi diversi: parkinsonismo vascolare, dovuto a ischemia dei nuclei della base; parkinsonismo da farmaci, dovuto all'assunzione di antagonisti della dopamina (come i neurolettici); parkinsonismo da tossici, in particolare alcuni pesticidi e metalli pesanti; parkinsonismo da traumi ripetuti, tipico degli sport da contatto (pugilato, arti marziali miste, football americano).
La causa specifica che provoca la perdita delle cellule che producono la dopamina e quindi responsabile del morbo di Parkinson non è nota e infatti esso è detto anche parkinsonismo idiopatico (cioè senza una causa apparente). Tuttavia si conoscono (e si stanno studiando sempre più) alcuni geni che sono associati con la malattia, tra cui l'alfa sinucleina, la parkina e la dardarina. Una mutazione a livello di uno di questi geni conferisce un rischio di sviluppare il Parkinson molto maggiore rispetto alla popolazione normale.
A riprova dell'importanza della componente genetica, si stima che circa il 15% dei pazienti affetti da Parkinson abbia almeno un parente di primo grado con la stessa patologia. Nel restante 85% dei casi, la malattia è definita sporadica.
Sia nelle forme sporadiche, che nelle forme legate a mutazione di uno dei geni sopra descritti, il meccanismo scatenante la malattia è la morte di alcuni neuroni particolari localizzati nella substantia nigra (una struttura sita nel mesencefalo e così denominata per la colorazione scura, dovuta alla presenza di melanina), i quali producono un neurotrasmettitore detto dopamina. La dopamina esercita uno stretto controllo sui nuclei della base, delle strutture poste in profondità, alla base dell'encefalo, i quali a loro volta hanno un ruolo fondamentale e collaborano con la corteccia cerebrale al controllo del movimento. La perdita dei neuroni dopaminergici fa venir meno tutto questo complesso circuito di controllo del movimento e dà il là al manifestarsi dei sintomi motori sopra citati.
Il principale meccanismo proposto per spiegare la morte cellulare è l'accumulo di alcune proteine (tra cui l'alfa sinucleina) a livello intracellulare, a formare dei conglomerati detti corpi di Lewy. Anche se è ormai accertata la presenza dei corpi di Lewy nelle aree del sistema nervoso affette dalla malattia, non è stato dimostrato se essi siano realmente responsabili della morte delle cellule o costituiscano un evento collaterale.
I primi studi sul morbo di Parkinson risalgono al 1817, ad opera del dottor James Parkinson, dal quale la malattia ha preso il nome.
Si tratta di una patologia piuttosto frequente, che affligge lo 0,3% della popolazione mondiale. L'età media di insorgenza è di circa 60 anni e la probabilità di ammalarsi aumenta con l'età, fino a raggiungere il 4% di prevalenza oltre gli 80 anni.
Tra i personaggi celebri che hanno contribuito alla ribalta internazionale di questa patologia e a sensibilizzare l'opinione pubblica, ricordiamo l'attore Michael J. Fox, il pugile Muhammad Ali e papa Giovanni Paolo II.
I sintomi principali riguardano il movimento e sono riassunti dalla tetrade: tremore a riposo; rigidità; lentezza nei movimenti; instabilità posturale.
Anche i movimenti dei muscoli facciali vengono interessati dalla malattia, con un'importante perdita di espressività del viso, condizione denominata facies amimica.
Accanto a questi sintomi di tipo motorio, il morbo di Parkinson causa frequentemente anche sintomi non motori tra cui: demenza (rischio 4 volte maggiore rispetto alla popolazione normale); depressione e/o ansia; disturbi del sonno; alterazioni della motilità gastrointestinale. Questi sintomi tendono a manifestarsi nella fase più avanzata della malattia ma, a volte, possono addirittura precedere i sintomi motori.
La diagnosi di morbo di Parkinson si basa sull'anamnesi (storia clinica del malato), sulla raccolta dei sintomi e sull'esame obiettivo neurologico.
Gli esami strumentali classici, come TAC e risonanza magnetica, non servono a fare diagnosi ma aiutano ad escludere altre patologie che potrebbero mimare il quadro sintomatologico del Parkinson, come lesioni ischemiche o tumorali dei nuclei della base.
Tecniche di medicina nucleare, come la PET o la SPECT, possono essere utilizzate nei casi dubbi per evidenziare un eventuale deficit nell'area della substantia nigra.
Ad oggi non esiste una terapia che consenta di guarire dal morbo di Parkinson.
Tuttavia, disponiamo di una vasta gamma di provvedimenti, sia farmacologici che interventistici, per cercare di controllare la malattia dal punto di vista sintomatologico. Caratteristicamente, la terapia farmacologica tende ad avere un buon successo nelle prime fasi della malattia e ad essere sempre meno efficace col passare del tempo, anche a causa degli effetti collaterali delle sostanze impiegate.
Il farmaco usato da più tempo e più noto è la L-DOPA, un precursore della dopamina che si accumula nei neuroni superstiti della substantia nigra e viene trasformata in dopamina, andando a vicariare il deficit dovuto alla morte di neuroni dopaminergici. È molto efficace nel controllo dei sintomi, soprattutto nei primi anni del suo utilizzo, ma può provocare effetti collaterali importanti come le discinesie (dei movimenti involontari abnormi e ripetitivi) e la sua attività tende ad essere incostante a causa della sua concentrazione fluttuante.
Attualmente, si ritiene più opportuno utilizzare l'L-DOPA il più tardi possibile e iniziare il trattamento farmacologico del Parkinson con farmaci agonisti del recettore dopaminergico (bromocriptina, cabergolina o pramipexolo), che hanno un'efficacia inferiore ma anche minori effetti indesiderati rispetto all'L-DOPA. Tuttavia va tenuto in conto che, ultimamente, gli agonisti dopaminergici sono stati accusati di poter scatenare o aggravare pericolosi comportamenti compulsivi, come il gioco d'azzardo patologico.
Altre classi farmacologiche potenzialmente utilizzabili, in associazione e/o in alternativa alle precedenti, sono gli inibitori delle COMT e gli inibitori delle MAO.
Qualora la terapia farmacologica non fosse più in grado di controllare la sintomatologia, si può ricorrere a delle procedure interventistiche: impianto di elettrodi intracerebrali (stimolazione cerebrale profonda, abbreviato in inglese DBS) che stimolano elettricamente alcuni circuiti nervosi coinvolti nella malattia; in alcuni casi più estremi si può ricorrere a procedure di rimozione chirurgica di alcune aree cerebrali profonde.
La ricerca scientifica sta sperimentando nuovi trattamenti basati su terapia genica o su cellule staminali, volti a supplire alla perdita di cellule della substanzia nigra, ma vi sono ancora molti studi da fare per verificare la loro efficacia e sicurezza.
Il morbo di Parkinson è una malattia degenerativa cronica, che tende a peggiorare col tempo.
Nonostante la terapia farmacologica sia abbastanza efficace nel controllo dei sintomi motori, la maggior parte dei pazienti è condannata ad un'importante disabilità dopo 15-20 anni dall'esordio della malattia, a causa sia della progressione di malattia, che degli effetti collaterali dei farmaci.
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