La peste suina ha due forme principali: quella classica e quella africana. La seconda è maggiormente diffusa in Europa, Italia compresa, e determina un vero e proprio problema economico. Infatti, nonostante non sia una malattia pericolosa per l'uomo, si diffonde tra i suini e rende necessario l'abbattimento degli animali infetti. Questo determina un grave problema economico per gli allevatori e produttori, ma anche per il cittadino che vede aumentare il prezzo dei prodotti alimentari derivanti da questo tipo di produzione.
Vediamo, quindi, quali sono le differenza tra le due forme di peste suina, ma anche la diffusione e le norme di prevenzione della patologia.
La peste suina si distingue nella forma classica e in quella africana, patologie causate da virus di due tipologie differenti. Infatti, per arrivare ad una corretta diagnosi che distingua l'una dall'altra si deve riccorrere a dei test di laboratorio.
La peste suina non è una zoonosi, sia nella forma classica che in quella africana. Colpiscono, quindi, solo gli animali e non vengono trasmesse all'uomo.
Questa patologia colpisce sopratutto i suini, sia quelli domestici che selvatici, come i cinghiali. L'agente eziologico è il virus del genere Flavivirus, che ha corredo genetico a RNA a singolo filamento positivo e appartiene alla famiglia Flaviviridiae. Questo virus resiste alle basse temperature e in assenza o scarsità di acqua. Per questo motivo sopravvive per circa 20 giorni in escreti corporei come feci e sangue. Può, inoltre, sopravvivere negli alimenti prodotti a partire dalla carne suina, come i salumi e le carni affumicate, anche dopo diversi mesi dalla produzione dell'alimento.
Il contagio della peste suina classica avviene per via diretta, quindi attraverso il contatto tra animali infetti, e per via indiretta, cioè per mezzo delle secrezioni corporee, alimenti o oggetti infettati dal virus. L'infezione avviene più frequentemente attraverso il naso o la bocca. L'incubazione del virus dura circa 14 giorni e i sintomi causati sono diversi e aspecifici. Fra questi abbiamo febbre alta, depressione, disidratazione, vomito, congiuntivite, cianosi e paralisi posteriore. Quando la malattia diventa cronica, determina l'insorgenza di caratteristiche formazione a bottone, chiamati "bottoni ulcerosi", a livello della valvola ileo-cecale.
Questa patologia ha una mortalità molto alta che può raggiungere anche il 100% in alcuni allevamenti. Una volta morto, il corpo dell'animale subisce solitamente una forte e caratteristica emorragia. Se la scrofa è gravida, va incontro, in genere, ad un'aborto o può generare dei piccoli appartemente sani, che non sviluppano sintomi evidenti eccetto il ritardo nella crescita, ma che sono comunque infetti e possono quindi diffondere il virus.
La peste suina classica è diffusa in diversi paesi e continenti, come l'Africa, l'asia e l'America centrale e meridionale. Inoltre, è diffusa anche in Europa, in particolare in Germania e Olanda. Paesi che sono, invece, indenni da questa patologia sono il Giappone, l'Australia e il Nord America.
Questa forma di peste suina è chiamata anche con l'acronimo ASF, ossia "African Swine Fever". Anche in questo caso di tratta di una malattia molto contagiosa che colpisce solo gli animali ed in particolare i suini, sia domestici che selvatici, cinghiali compresi.
Il virus che causa questa malattia è diverso, però, da quello della peste suina classica, e appartiene alla famiglia delle Asfaviridiae, e al genere Asfavirus. Questo virus è, al contrario di quella della tipologia classica, una particella a DNA. Come per quella classica, anche la forma africana non è contagiosa per l'uomo.
Il contagio del virus avviene attraverso i liquidi corporei dell'animale, come feci e urina o per contatto diretto tra animali. Questa particella virale è molto resistente: si pensi che può rimanere attiva per 7 giorni senza ospite. Inoltre, è in grado di rimanere attivo alle temperature di congelamento, così come a quelle molto alte. Inoltre, non perde la capacità infettante anche a pH molto estremi.
Esistono 3 forme diverse di questa patologia: acuta, subacuta e cronica. Nel primo caso si ha un periodo di incubazione più breve delle altre tipologie, circa 5-15 giorni. In quella subacuta si ha una mortalità che arriva anche al 70%.
Sono diversi i ceppi virali che possono causare la malattia, alcuni dei quali sono molto virulenti, causando la morte dell'animale in pochi giorni, altri lo sono meno e possono anche non determinare sintomi.
I sintomi causati dalla peste suina africana sono spesso simili a quelli provocati dalla forma classica. In particolare, si possono evidenziare: febbre, aborti spontanei, debolezza ed emorragie. Altri sintomi sono: leucopenia, vomito, diarrea emorragica ed enterite emorragica.
Non esiste un vaccino per la peste suina africana e ad oggi, l'unico provvedimento da prendere in caso di infezione è l'abbattimento degli animali infettati dal virus.
Questa patologia è stata riscontrata per la prima volta negli anni '20 del Novecento in Kenya, ma è diffusa anche in Europa, ed in particolare in Portogallo, in Spagna e in Italia. Nel nostro paese è stata scoperta per la prima volta nel 1978 ed è diffusa esclusivamente in Sardegna, in cui costituisce un vero e proprio problema cronico.
La diffusione della peste suina africana viene monitorata annualmente e ogni paese dell'UE presenta alla Commissione Europea un piano di eradicazione della malattia, per ricevere poi i finanziamenti adeguati a metterlo in atto.
Il Ministero della Salute italiano ha emanato delle raccomandazioni per la prevenzione della peste suina africana e la gestione degli allevamenti che ne sono colpiti. Queste indicazioni riguardano lo smaltimento della carne, sia fresca che stagionata, in appositi contenitori chiusi, al fine di evitare il contagio degli animali sani. Inoltre, negli allevamenti, è necessario evitare il contatto tra animali in cattività e quelli selvatici, come i cinghiali, che potrebbero essere infetti.
Il trasporto della carne suina deve avvenire in condizioni di igiene e l'operatore deve disinfettare il camion prima e dopo ogni carico. Inoltre, si richiama l'attenzione anche dei veterinari, che dovrebbero prestare attenzione ad eventuali errate esclusioni della diagnosi da peste suina africana.
L'attenzione viene anche richiamata per i cacciatori, che non potrebbero trasportare carcasse di cinghiale e dovrebbero informarsi adeguatamente se nella zona di caccia scelta si ha o meno il rischio di peste suina africana.
Le adeguate precauzioni devono essere adottate anche dai non addetti ai lavori, come i turisti, che dovrebbero evitare di portare con sé alimenti a base di suino provenienti da zone colpite da peste suina africana, come la Sardegna. Inoltre, gli avanzi del cibo devono essere riposti in contenitori chiusi in modo che gli animali non possano cibarsene e quindi infettarsi.
Dato che l'infezione può trasmettersi anche attraverso gli oggetti, è bene che allevatori e cacciatori prestino attenzione all'igiene degli strumenti, dei capi di abbigliamento e di tutto ciò entri a contatto con animali infetti o potenzialmente tali.
Per la peste suina africana non esiste ad oggi un vaccino o una cura, per cui sono in corso studi in merito. Studiando le proteine che compongono il capside virale, ossia l'involucro esterno del virus, alcuni studi sono arrivati a fornire una speranza per la formulazione di un vaccino in merito. La difficoltà principale nella sua preparazione consiste nel fatto che questo virus non sembra scatenare l'attività anticorpale, fattore che viene molto utilizzato per la formulazione di vaccini.
Nel 2020 l'Efsa (European Food Safety Authority) ha pubblicato un report riguardante la diffusione della peste suina africana nel biennio 2018-2019.
Nel 2019 la zona colpita dalla patologia si è allargata, andando ad espandersi soprattutto nella zona sud-ovest del continente. Vi sono paesi in cui la malattia sta scomparendo, altri in cui è di recente introduzione o in fase di espansione e zone che sono, invece, interessate dalla peste suina africana da diverso tempo.
Dal 2014, la peste suina africana si è diffusa verso l'ovest dell'Europa a partire dalla Lituania, per poi diffondersi anche in Polonia, Estonia e Lettonia.
Nel 2019, sono 9 in tutto i paesi europei colpiti dalla patologia, ma ogni paese ha le sue caratteristiche di diffusione. La differenza tra i vari stati riflette la diversa struttura degli allevamenti nei vari paesi europei, nonchè anche le caratteristiche degli animali selvatici del paese. Nei territori in cui è maggiore la diffusione di allevamenti a conduzioni familiare, è più difficile realizzare un controllo della malattia, perchè spesso non vengono rispettate le norme sul controllo del movimento dei capi nel territorio. Questo problema è presente in particolar modo in Romania, in cui la peste suina africana ha i casi più alti d'Europa registrati negli ultimi anni. In questo territorio sono molto diffusi gli allevamenti a conduzione familiare.
In Italia, le misure di contenimento della peste suina intraprese in Sardegna stanno aiutando a contenere la patologia, evitandone la diffusione nel resto del paese. Questo è stato confermato anche dal Ministero della Salute.
Nel gennaio del 2020 a Padova vi era il rischio di peste suina africana in carne importata dalla Cina senza il rispetto delle norme doganali e igieniche previste, di conseguenza, potenzialmente infetta. L'intervento delle forze dell'ordine ha reso necessario il sequestro di circa 10 kg di carne, svolgendo quindi un'attività preventiva dell'epidemia.
Nel suo report del 2019, inoltre, l'Efsa sottolinea come la diffusione si ha principalmente attraverso il contatto tra animali infetti e i prodotti alimentari a base di carne suina infetta. Inoltre, altro vettore di infezioni sono le carcasse infette di animali che vengono spesso smaltite illegalmente.
Negli ultimi anni si è vista una diffusione della patologia in Oriente, in cui l'Indonesia presenta particolari criticità, con circa 30 mila suini morti, In Asia salgono a 11 i paesi interessati dall'epidemia di peste suina africana. Fra questi, la Cina è da anni impegnata nella lotta contro il virus. La legge nel paese prevede, oltre all'abbattimento dei capi di bestiame infetto, anche quello degli animali allevati a 3 km dal focolaio di infezione. Queste leggi, però, non sempre vengono rispettate dagli allevatori. La mancata possibilità di contenere l'infezione, fa sì che oggi negli allevamenti si stima che ci possa essere un calo della produzione pari anche al 55%. La stessa situazione si rileva anche in altri paesi asiatici, come le Filippine, la Corea del Nord e il Vietnam. Per questi motivi, i prezzi dei prodotti a base di suino crescono e ad aumentano anche le importazioni di alimenti dai paesi extra-asiatici.
In Australia non esiste ancora questa patologia, ma per difendere le specie di suini selvatici locali vengono messe in atto delle misure restrittive sulle importazioni, che prevedono anche l'isolamento dei prodotti prima di essere messi in commercio.
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