La pielonefrite è un processo infiammatorio, solitamente su base infettiva, del rene.
Tra le patologie infettive delle vie urinarie, rappresenta la forma più grave e, non di rado, comporta complicanze che possono mettere a rischio la vita.
Il rene è costituito da diversi distretti anatomo-funzionali:
Ognuna di queste strutture (o anche tutte quante contemporaneamente) può essere affetta dal processo pielonefritico. Se viene interessata solo la pelvi renale si parla, per la precisione, di "pielite".
A valle del rene, le due pelvi si continuano in due condotti detti ureteri, i quali sboccano nella vescica.
Dalla vescica origina l'uretra, tramite la quale l'urina fuoriesce all'esterno.
La causa di gran lunga più frequente di pielonefrite è un'infezione batterica.
Tuttavia, bisogna considerare che, a differenza della parte finale dell'uretra, che può ospitare una flora batterica commensale, le vie urinarie superiori sono sterili (cioè completamente prive di microrganismi), in condizioni fisiologiche. Quindi, affinché si verifichi un'infezione del rene, i batteri devono arrivarci. Le "vie d'accesso" al rene che i batteri possono sfruttare sono le seguenti:
Dal punto di vista epidemiologico, la pielonefrite fa registrare una frequenza molto superiore nelle donne rispetto agli uomini e l'età più colpita è tra i 20 e i 40 anni. Tale differenza è dovuta ai seguenti fattori, tipici del sesso femminile:
I batteri più spesso responsabili di pielonefrite sono quelli della flora batterica intestinale, in particolare Escherichia Coli, Proteus e Klebsielle, i quali, approfittando della vicinanza tra l'orifizio anale e quello uretrale, penetrano in quest'ultimo e possono provare a risalire le vie urinarie.
Nelle forme acute, che sono le più frequenti, la sintomatologia esordisce in maniera rapida, nell'arco di poche ore o un giorno al massimo.
Il paziente può presentarsi molto compromesso a livello generale, con febbre alta con brivido, malessere, stanchezza, nausea e vomito.
La sintomatologia d'organo è caratterizzata da dolore (di intensità variabile) in sede lombare, ematuria (sangue nelle urine), piuria (presenza di materiale purulento nelle urine), disuria (fastidio alla minzione), pollacchiuria (minzione molto frequente).
Le forme croniche sono caratterizzate da una sintomatologia più sfumata, ma, a lungo andare, il danno infiammatorio cronico può provocare danni irreversibili al rene ed esitare in una insufficienza renale cronica.
La diagnosi si basa sulla clinica, cioè anamnesi ed esame obiettivo, adiuvata dagli esami di laboratorio.
Oltre ai sintomi appena menzionati, all'esame obiettivo, si può riscontrare la positività del segno di Giordano, ovvero un vivo dolore alla percussione della loggia renale, al di sotto dell'arcata costale.
L'indagine di laboratorio più utile è l'esame completo delle urine, che può dimostrare un aumento dei nitriti e dei globuli bianchi.
All'emocromo, è frequente il riscontro di un aumento dei globuli bianchi, soprattutto di granulociti neutrofili.
Inoltre, quando si sospetta una pielonefrite, a differenza di una semplice cistite, è buona prassi effettuare un'urinocoltura + antibiogramma, piuttosto che intraprendere una terapia antibiotica empirica.
In alcuni casi possono essere necessarie anche delle emocolture, cioè degli esami colturali che ricercano la presenza di batteri nel sangue.
Invece, le tecniche di diagnostica per immagini sono utili non tanto per la diagnosi, quanto per identificare eventuali alterazioni che possano aver causato la patologia.
In caso di sospetta calcolosi urinaria, è opportuno eseguire una TAC.
Se si sospettano delle alterazioni anatomiche è più indicata un'ecografia delle vie urinarie.
In caso di pielonefrite su base di un'alterazione funzionale, l'indagine più appropriata è la cistouretrografia minzionale.
La terapia è a base di farmaci antibiotici, scelti in base all'antibiogramma.
Le classi antibiotiche più spesso utilizzate sono i fluorochinolonici, i beta-lattamici, gli aminoglicosidi e il cotrimossazolo, spesso con combinazioni di almeno due di essi.
Come detto, la pielonefrite è una patologia piuttosto grave e spesso, soprattutto nelle prime fasi, necessita di ricovero ospedaliero per monitorare i dati laboratoristici e l'andamento della terapia antibiotica, che comunque deve essere continuata per almeno 15-20 giorni (se in buone condizioni gerenali, il paziente pò essere dimesso e continuare la terapia antibiotica al domicilio).
In alcuni rari casi di pielonefrite cronica grave, può essere necessario l'intervento chirurgico.
Nelle pielonefriti recidivanti, è opportuno indagare in maniera approfondita la presenza di eventuali anormalità delle vie urinarie.
In questi casi, alcuni medici sostengono l'utilità di una profilassi antibiotica cronica, ma il rapporto rischio-beneficio di questa strategia è dubbio.
Un consiglio pratico molto importante nella profilassi della pielonefrite (e, più in generale, di tutte le infezioni delle vie urinarie), anche se apparentemente banale e ingiustamente trascurato, è quello di urinare sempre dopo il rapporto sessuale, in modo da "lavare" gli eventuali germi che potrebbero essere penetrati nelle vie urinarie.
Dipende dalla gravità del quadro patologico e dalle caratteristiche del paziente.
Negli anziani e negli immunocompromessi, l'infezione può diffondersi al circolo sanguigno e dare sepsi, un quadro clinico molto temibile, caratterizzato da una grave risposta infiammatoria sistemica.
Nei casi restanti, la terapia antibiotica permette quasi sempre una remissione clinica completa.
L'esame delle feci è una procedura diagnostica che consiste nella raccolta e nell'analisi di un campione di feci, al fine di individuare alcune eventuali condizioni patologiche.
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