Il trapianto fecale, o batterioterapia fecale, è un trattamento non farmacologico che si basa sul reintegro della flora batterica intestinale usando batteri prelevati dalle feci di donatori sani con il microbiota sano ed equilibrato. In alcuni casi, possono essere usate anche microrganismi prelevati dalle feci dello stesso paziente su cui si effettua il trapianto, usando campioni che egli aveva donato in precedenza, quando era sano. In quest'ultimo caso, si parla di ripristino autologo o omotrasfusione della flora gastrointestinale.
Il principio di base della batterioterapia fecale è il fatto che gli studi sul microbiota intestinale, sempre in continua evoluzione, hanno dimostrato un ruolo importante della flora batterica del colon, che oggi viene considerata come un ecosistema autonomo in equilibrio con il resto dell'organismo, in diverse funzioni importanti per il nostro corpo, come quella immunitaria.
Il trapianto fecale è un trattamento medico a tutti gli effetti, anche se ancora in via sperimentale. Ha un costo abbastanza basso, giustificato anche da un limitato uso delle tecnologie, e una buona efficacia, anche se ancora sono necessari studi ulteriori a riguardo. Permette, inoltre, di trattare alcune patologie per cui si ha antibiotico-resistenza.
Nonostante questo, il trapianto fecale è ancora considerato un trattamento da usare solo se effettivamente necessario e non vi siano altre alternative, in quanto risulta più invasivo rispetto al normale uso degli antibiotici ed inoltre mette il soggetto su cui si effettua a rischio di infezioni di vario tipo: virale, batterica e di altro genere.
Si usano di solito delle feci di un parente stretto del paziente, su cui si fanno le indagini relative alla presenza di infezioni da parassiti, virus o batteri, come la Salmonella, il virus dell'epatite e così via.
Il campione di feci viene trattato in un laboratorio specifico che ne ricava una sospensione liquida. Quest'ultima viene introdotta nell'organismo del paziente attraverso un sondino nasogastrico che arriva fino al duodeno.
Il trattamento può consistere anche in clisteri con l'estratto delle feci, per un periodo di tempo variabile che può andare dai 5 ai 10 giorni. La durata dell'applicazione è soggettiva, anche se in molti casi si hanno i primi effetti benefici già dal primo trattamento.
Talvolta, possono essere usati in combinazione sia la modalità con il clistere sia quella con il sondino nasogastrico, in modo da ottenere maggiori risultati.
Il paziente viene successivamente sottoposto a controlli regolari per un anno circa.
Un'altra modalità di trapianta fecale è quella del ripristino autologo della flora gastrointestinale, attualmente ancora in fase di sviluppo. Questo metodo risulta più sicuro e facile da somministrare, e sembrerebbe essere anche più efficace. In questa metodica, si recupera dal paziente un campione di feci prima del trattamento e dello sviluppo della malattia. Quando avviene il manifestarsi della patologia, allora il campione viene processato per l'utilizzo, ossia viene preparato l'estratto usando soluzione salina e il filtraggio. Il filtrato ottenuto viene liofilizzato e posto all'interno di capsule gastroresistenti. Queste ultime vengono somministrate al paziente per via orale.
Questa metodica risulta più sicura rispetto a quella classica eterologa, che usando un campione da donatore esterno potrebbe portare alla trasmissione di alcune infezioni. Inoltre, il trapianto autologo evita il fastidioso uso della sonda nasogastrica.
Già durante la seconda guerra mondiale, i soldati tedeschi in Africa usavano le feci fresche di cammello per combattere la dissenteria batterica. Nel 2001, uno studio ha fornito la spiegazione dei risultati positivi di questo uso, affermando che l'effetto era dovuto alla produzione di un antibiotico da parte del Bacillus subtilis contenuto nelle feci di questo animale.
Il trapianto di feci venne usato per la prima volta da un gruppo di ricercatori australiani per la cura della colite pseudomembranosa, in particolare in casi che dimostravano resistenza all'antibiotico. I risultati furono positivi e questo trattamento riuscì a risolvere i problemi dovuti a questa patologia.
Successivamente, un altro gruppo di ricercatori pubblicò uno studio in cui veniva descritta per la prima volta l'applicazione di questa tecnica, che loro avevano usato su 18 pazienti affetti da colite pseudomembranosa.
Il trapianto di feci può essere usato per la colite ulcerosa e diverse altre patologie, come la colite pseudomembranosa che si sviluppa in seguito all'infezione dovuta a Clostridium difficile. Si usa quando non si riesce a risolvere la patologia usando le terapie tradizionali.
Nel caso delle colite ulcerosa, il trapianto di feci risulta molto efficace in quanto va a ricolonizzare il colon con probiotici provenienti da un altro intestino sano. Alcuni studi hanno dimostrato che questa metodica è sicura e dà beneficio al paziente. Infatti, non è ben nota la causa della colite ulcerosa, che si ritiene possa essere dovuta ad un'infezione protratta da un patogeno non conosciuto. In seguito all'alterazione dell'equilibrio della flora microbica del colon, si possono instaurare processi infiammatori, che vengono risolti in molti casi in seguito al trapianto di feci o comunque alla ricolonizzazione della flora intestinale.
La batterioterapia fecale è abbastanza accettata dai paziente affetti da colite ulcerosa, come ha dimostrato uno studio del 2011, in cui si afferma che i pazienti sono in grado di superare, nella maggior parte dei casi, l'iniziale avversione nei confronti della terapia.
Il trapianto fecale è stato anche proposto non tanto per dimagrire, ma per il trattamento dell'obesità e della sindrome metabolica. Gli studi sono ancora nelle prime fasi ma hanno ottenuto risultati promettenti, soprattutto su modelli animali. Rimangono da confermare maggiormente sull'uomo. Il microbiota intestinale sembra, infatti, coinvolto nello sviluppo dell'obesità e della sindrome metabolica, ma non è ancora chiara la relazione tra integrità della barriera intestinale, obesità e flora batterica.
La batterioterapia fecale è proposta per il trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali, come la sindrome del colon irritabile, ma si suppone possa essere usate anche per patologie extra-intestinali, come le patologie autoimmuni, quella cardiache ma anche cerebrali, come il morbo di Parkinson.
Altre applicazioni del trapianto fecale si sviluppano nel mondo animale. Viene, infatti, usato per la prevenzione della salmonellosi dei polli ma anche sui topi. Un recente utilizzo, infatti, la rende ideale nei topi germ free usati in laboratorio, al fine di rendere le feci di questi animali simili a quelle dell'uomo dal punto di vista batteriologico. In questo modo, è possibile usare questi topi per lo studio degli effetti dei farmaci o di altre molecole su un ecosistema simile a quello dell'uomo.
Nonostante gli studi in merito siano ancora insufficienti per ritenere in via definitiva valida e sicura questa tecnica, il trapianto di feci, dove è stato utilizzato, ha dimostrato un'efficacia pari all'90% per il trattamento della colite pseudomembranosa, e alcuni studi dimostrano che questa tecnica consente di ottenere risultati migliori rispetto al classico trattamento con l'antibiotico vancomicina.
Nel 2011, uno studio ha proposto l'efficacia del trapianto di feci pari al 92% e l'assenza di effetti collaterali nei pazienti trattati.
Inoltre, questa tecnica potrebbe ridurre l'uso degli antibiotici andando a rallentare il fenomeno della resistenza ad essi.
Gli studi da fare sono ancora molti. al fine di analizzare la composizione del microbiota prima e dopo il trapianto fecale, così come anche una migliore comprensione del meccanismo che sta alla base di questa terapia. Questi studi serviranno anche a capire meglio i microrganismi responsabili di determinate patologie e il modo in cui alcuni batteri migliorano la salute intestinale.
In ogni caso, nel 2011 uno studio della Yale University School of Medicine ha confermato la validità dell'uso del trapianto di feci contro la diarrea dovuta a C. difficile, specie nelle forme resistenti. Altri studi hanno confermato questi risultati, sottolineando un maggior successo nella somministrazione per via rettale. Negli stessi articoli, viene però sottolineata la necessità di ulteriori studi in merito che consentano un più largo utilizzo della metodica.
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