La questione dei miglioratori o degli additivi nella farina è quantomai attuale. I consumatori sono sempre più alla ricerca di farine poco raffinate, "naturali", senza additivi, e possibilmente di produzione locale o addirittura fatte con "grani antichi"... Va da sé che una farina trattata con additivi viene giudicata negativamente. Vale la pena quindi di capire perché la farina a volte necessita di additivi e se questi siano davvero dannosi.
La farina fresca, appena macinata, non è adatta alla panificazione. L'impasto non lieviterebbe bene e la pagnotta risulterebbe dura e seduta. Dopo essere macinata, la farina deve riposare per dare tempo al glutine di maturare, per fare in modo che l'ossigeno dell'aria e/o le attività ossidasiche presenti nella farina trasformino le proteine affinché, una volta formato il glutine, esso risulti giustamente elastico, capace di trattenere l'anidride carbonica sviluppata dalla fermentazione. Durante la maturazione, avviene anche una perdita di colore della farina, una sorta di sbianchimento.
Gli agenti maturanti più utilizzati sono l'acido l-ascorbico (vitamina C), la lipossidasi, il cloro e il cloro biossido, il potassio bromato, i persolfati, l'azodicarbonamide e gli acetonperossidi.
La vitamina C è un potente antiossidante e interviene nei processi di ossidoriduzione. Grazie a quest'ultima attitudine, l'acido l-ascorbico interviene nel processo di maturazione delle farine agendo da ossidante (sembra un paradosso, ma è quello che avviene), favorendo la trasformazione dei gruppi -SH del glutine in gruppi -SS-.
Secondo alcuni autori efficacia dell'acido l-ascorbico sembra derivare dalla capacità di inibire le proteasi delle farine, ben attive negli impasti, proprietà sviluppata da tutti i miglioranti. Dopo la trasformazione in acido deidro-l-ascorbico, agisce come ossidante originando un incremento notevole della forza del glutine. Secondo altri questa azione maturante deriva dalla capacità di dare luogo alla formazione di ponti disolfuro.
La vitamina C viene aggiunta alle farine nella dose di 2-3 g per quintale. Valori maggiori possono dare luogo a superossidazione, con vistosa maculazione della farina che non può più essere utilizzata. Dosaggi molto più alti vengono impiegati nel processo di fermentazione meccanica degli impasti, il famigerato Chorleywood, dove al lievito si sostituisce l'azione meccanica dello speciale braccio dell'impastatrice, che somministra una elevata quantità di energia meccanica in poco tempo, producendo un pane molto leggero e alveolato, e prodotto in pochissimo tempo (meno di due ore!). Nel 2009, l'80% del pane prodotto in UK era fatto con questo metodo, e non senza polemiche. Il processo Chorleywood utilizza 7 g di acido l-ascorbico per quintale di farina. Ovviamente in questo processo si perdono tutte le caratteristiche organolettiche proprie delle lunghe fermentazioni, necessarie per produrre pane di qualità.
La lipossidasi è un enzima che causa l'autoossidazione delle sostanze grasse, un fenomeno indesiderato, tuttavia nel caso della farina esercita un'azione favorevole perché ne favorisce la maturazione. Fonti di lipossidasi sono le farine di malto, soia e fave, che vengono aggiunte alle farine nella misura dello 0,5-1%.
La lipossidasi aiuta anche lo sviluppo dell'aroma del pane.
È un ossidante dei gruppi solfidrile, con conseguente trasformazione in biourea. Esercita anche un'azione sbiancante. Il JECFA aveva attribuito una DGA per l'uomo fino a 45 mg/kg di peso corporeo. Il dosaggio è tre 2 e 3 g per quintale di farina.
Molto utilizzato, insieme al biossido di cloro e al potassio iodato. Viene usato fino a 20 mg e in certi casi fino a 75 m/kg di farina. Dopo aver ceduto l'ossigeno alla farina, si trasforma in bromuro, sostanza potenzialmente pericolosa. Tuttavia, la farina può contenere naturalmente alcuni mg/kg di bromo, dunque la dose utilizzata non dovrebbe comportare alcun rischio.
I persolfati di ammonio e di potassio si trasformano in solfati una volta ceduto l'ossigeno, dunque non sono pericolosi per il consumatore e non esiste una DGA per questi composti, che tuttavia possono comportare problemi per chi li lavora.
Il cloro ha un notevole effetto sbiancante e conferisce agli impasti una grande resistenza al collasso. Viene aggiunto alle farine fino a 2500 mg/kg.
Il cloro biossido (ClO2) è una sostanza che è stata dichiarata innocua per l'uomo, in quantità aggiunte alla farina che non superino i 3 g per quintale (dose che aumenta a 7 per alcuni utilizzi speciali).
Esplicano la loro azione ossidante convertendosi in acetoni, che evaporerebbero durante la cottura. La tossicologia disponibile è insufficiente per una valutazione conclusiva.
Il collasso dell'impasto è quel fenomeno che avviene quando l'impasto inizia a lievitare correttamente, ma poi si "siede", collassa, si sgonfia.
Gli additivi che prevengono questo problema sono l'acido acetico e l'acido propionico, e in misura minore, l'acido lattico. Nella produzione industriale vengono utilizzati gli acetati di sodio e di potassio e i propionati di potassio e di calcio. Tutti questi additivi sono ritenuti accettabili sotto il profilo igienico sanitario.
Il perossido di benzoile è un additivo puramente sbiancante, senza proprietà favorevoli per la maturazione. Nel 1975 il JECFA gli aveva attribuito un'accettabilità per le farine, fino a 40, e in certi casi a 75 mg/kg.
Gli emulsionanti vengono utilizzati in funzione antiraffermo, i più famosi sono i mono e digliceridi degli acidi grassi e loro derivati (necessari per esempio in panettoni, pandori e colombe che devono durare fino a 6 mesi). Da questi additivi non derivano rischi per il consumatore.
Sono diventati di massima attualità da quando una quota consistente di pane viene prodotto e consumato in forma di pane a cassetta o a fette confezionato. La parte del leone spetta all'acido sorbico, consentito anche negli gnocchi e nella polenta, per rimanere nel settore delle farine. Se ne possono impiegare fino a 2 g/kg in prodotti da fomo parzialmente precotti e in altri con attività dell'acqua superiore a 0,65, facilmente attaccabili dalle muffe. La protezione contro questo rischio merita maggiore attenzione in vista di una molto attesa soluzione "tecnologica", senza additivi.
L'etanolo (alcool etilico) è anch'esso un antimuffa, utilizzato prevalentemente dall'industria alimentare nei pani in cassetta confezionato, con scadenza di diverse settimane. Proprio per garantire una durata molto lunga, il tasso di umidità deve essere abbastanza alto, ma questo consentirebbe la proliferazione delle muffe. Quando si usa l'alcol etilico, che è un trattamento superficiale (e si avverte chiaramente quando si apre la confezione), non possono essere utilizzati altri additivi antimicrobici. Sulla confezione deve essere riportata la dicitura "trattato con alcol etilico".
Viene utilizzato per aumentare la percentuale di proteine della farina, al fine di aumentarne la forza (il W). Al di sopra di certi valori di W quasi tutte le farine sono addizionate di glutine essiccato.
Al contrario, questi additivi vengono usati per ridurre la forza dell'impasto.
È un enzima che serve per scindere le molecole di glucosio, producendo zuccheri semplici che conferiscono una colorazione dorata, e migliorano la lievitazione.
I miglioratori delle farine vengono utilizzate prevalentemente nei prodotti destinati alle industrie, basta leggere gli ingredienti per vedere che ci sono solo poche farine in commercio che contengono additivi, e di solito stiamo parlando dell'innocua vitamina C. D'altro canto abbiamo visto che praticamente tutti gli additivi addizionati alle farine non causano problemi di salute.
Tuttavia, spesso le farine o il pane vengono addittivati al fine di velocizzare il processo di panificazione, e questo vale soprattutto per il pane industriale o quello prodotto da forni che non hano particolare attenzione nei confronti della qualità, frutto di brevi fermentazioni e quindi di sicuro non ottimale dal punto di vista della digeribilità. Bisogna quindi fare attenzione non solo alla qualità della farina che utilizziamo (oggi sempre più produttori puntano su una proposta che sia il più naturale possibile e lo indicano chiaramente come valore aggiunto), ma anche alla qualità del pane che acquistiamo, puntando su panifici che lavorino con criteri di qualità (e fortunatamente sono sempre di più).
Fonte: Residui, additivi e contaminanti degli alimenti, Giuseppe Cerutti, Tecniche Nuove
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