Il falso zafferano è il nome comunemente attribuito al colchico d'autunno (Colchicum autumnale), una pianta bulbosa della famiglia delle Colchicacee, che cresce nell'appennino tosto-emiliano e in tutte le regioni del Nord Italia.
È una pianta velenosa molto insidiosa, perché viene abbastanza frequentemente scambiata per altre piante commestibili, generando casi di avvelenamento.
Cresce negli spazi aperti, come le radure boschive e i prati falciati.
Il falso zafferano in realtà è un tubero da cui, da una posizione piuttosto profonda nel terreno (10-15 cm) escono le radici. Alla fine dell'estate, o all'inizio dell'autunno, si forma il germoglio dal quale più tardi si svilupperà il fiore; il frutto si svilupperà poi nella primavera successiva, contemporaneamente si svilupperà un nuovo tubero.
Il nome "falso zafferano" gli è stato attribuito perché il suo fiore è molto simile a quello del Crocus sativus, la pianta del vero zafferano che in Italia molto raramente cresce in modo spontaneo, solitamente viene coltivato.
Il falso zafferano è velenoso perché contiene un alcaloide altamente tossico chiamato colchicina, contenuto nei semi e nel bulbo della pianta. La sua pericolosità è tale da non essere ammesso nella formulazione degli integratori alimentari.
Quando viene ingerito, causa bruciori alla bocca e altri sintomi piuttosto gravi come coliche, nausea, diarrea sanguinolenta, delirio. L'avvelenamento può colpire svariati organi: l'apparato digerente, biliare, respiratorio, cardiovascolare, renale, ma anche il sistema nervoso e le ghiandole endocrine. Può abbastanza facilmente portare alla morte entro le 48 ore, per insufficienza respiratoria o collasso cardiocircolatorio.
La percolosità della tossina è tale che anche solo manipolare troppo a lungo il fiore del colchico può causare un avvelenamento da contatto, che può causare danni alla pelle.
L'avvelenamento può anche essere cronico, i in genere viene riconosciuto a causa della perdita di capelli.
Purtroppo queste tragedie continuano ad accadere abbastanza regolarmente, anche se fortunatamente i casi, numericamente, sono sempre molto limitati.
Purtroppo non esistono antidoti specifici e si può nemmeno intervenire con la dialisi.
L'unica speranza per salvarsi è quella di intervenire in tempo, quando la tossina non è ancora entrata in circolo in quantità sufficiente per portare l'organismo alla morte.
È quindi molto importante recarsi al pronto soccorso alla comparsa dei primi sintomi, a questo punto si interviene con la lavanda gastrica e la somministrazione di carbone vegetale, che assorbe la tossina nello stomaco e nell'intestino. Inoltre si può agire forzando la diuresi, nella speranza che la tossina venga smaltita con le urine.
Le due piante sono apparentemente molto simili, soprattutto per quanto riguarda il colore dei fiori, tuttavia ad un occhio un minimo esperto non può sfuggire che il falso zafferano ha 6 stami, contro i tre di quello vero, inoltre la fioritura avviene in momenti differenti, con lo zafferano vero che fiorisce un paio di mesi più tardi; per concludere, lo zafferano vero quando fiorisce ha ancora le foglie, mentre quello falso, alla fioritura, ne è privo.
Il falso zafferano viene scambiato per lo zafferano selvatico (Crocus biflorus), che in Italia cresce un po' ovunque ma è sicuramente più raro rispetto al colchico d'autunno.
Nell'ultimo caso in ordine cronologico, quello della primavera del 2021, la vittima potrebbe aver scambiato il colchico per aglio selvatico.
Nell'aprile del 2021 un sessantunenne di Travesio (PN), è morto avvelenato dopo aver raccolto del colchico durante una passeggiata, e averlo cucinato e mangiato, ignaro del fatto che fosse tossico. L'uomo non ha agito in tempo, dopo la comparsa dei primi sintomi, si è recato al pronto soccorso troppo tardi ed è morto.
Nell'autunno del 2017 una coppia di conuigi veneti è morta a seguito dell'ingestione di falso zafferano, mentre pochi giorni dopo una famiglia di Modena si è salvata solo grazie al tempestivo intervento dei sanitari.
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