Gli anticoagulanti orali sono farmaci utilizzati per prevenire o rallentare la coagulazione del sangue e quindi contrastare la formazione di trombi.
I principi attivi largamente più utilizzati sono i dicumarolici e, in particolare, il warfarin (nome commerciale Coumadin).
Accanto a questi, negli ultimi anni, sono state introdotte delle nuove classi farmacologiche: gli inibitori diretti del fattore X attivato e gli inibitori diretti della trombina.
Tutti questi farmaci si definiscono anticoagulanti "orali" poiché vengono assunti per via orale (cioè per bocca, tramite pastiglie) e si differenziano perciò dall'eparina, un altro farmaco ad azione anticoagulante, la quale, invece, viene assunta per via parenterale (cioè tramite iniezioni).
L'emostasi è un complesso insieme di processi cellulari e biochimici che servono per arrestare un'emorragia.
I due attori principali di questo processo sono l'aggregazione piastrinica e il coagulo, formato dai fattori della coagulazione. Questi due fenomeni sono strettamente interconnessi e dipendenti l'uno dall'altro ma, per semplicità didattica, è utile immaginarli come due processi a sé stanti.
L'aggregazione piastrinica (e quindi i farmaci antiaggreganti piastrinici, come l'aspirina) è maggiormente implicata nei fenomeni di trombosi arteriosa, come nell'infarto del miocardio e nell'ictus ischemico.
Invece, il processo coagulativo è maggiormente implicato nei fenomeni di trombosi venosa.
La coagulazione è un intricato network fisiologico nel quale una serie di 12 fattori (essi, dal punto di vista strutturale, sono delle proteine con attività serin-proteasica) si attiva l'uno con l'altro "a cascata" (infatti il processo è definito cascata della coagulazione), fino a convergere sul fattore II, detto anche protrombina, che viene attivato a trombina e trasforma il fibrinogeno in fibrina, la quale va a costituire una sorta di "intreccio" che ferma l'emorragia.
Questo fenomeno è fondamentale per la sopravvivenza, altrimenti si rischierebbe di morire dissanguati al primo piccolo taglio.
Tuttavia, in alcune situazioni, il processo coagulativo può essere eccessivamente esuberante e risultare altrettanto dannoso, provocando la formazione di trombi che possono ostruire i vasi sanguigni e causare la morte dei tessuti da essi irrorati.
La struttura di questi farmaci è derivata dalla cumarina, una sostanza chimica presente in molte piante.
Il principio attivo più utilizzato è il warfarin, più conosciuto col nome commerciale Coumadin.
Un altro principio attivo degno di nota, anche se molto meno utilizzato, è l'acenocumarolo.
Le loro proprietà medicamentose furono scoperte quasi accidentalmente. Infatti, originariamente, i dicumarolici erano stati concepiti come veleni per topi (alcuni di essi sono utilizzati tuttora come topicidi).
I dicumarolici sono degli antagonisti della vitamina K (in realtà, in senso stretto, la loro azione consiste nell'inibire la sintesi della forma biologicamente più attiva della vitamina K).
La vitamina K è fondamentale per la produzione di alcuni dei fattori della coagulazione, in particolare dei fattori II (detto anche protrombina), VII, IX e X, i quali sono detti, appunto, fattori vitamina K-dipendenti.
Inibendo la vitamina K, i dicumarolici impediscono la sintesi dei fattori vitamina K-dipendenti e perciò riducono i processi coagulativi.
I dicumarolici iniziano a fare effetto solo dopo 2-4 giorni dall'inizio del trattamento. Ciò è dovuto al fatto che i fattori della coagulazione hanno un vita media di qualche giorno. Se in un dato momento se ne inibisce la produzione, quelli già presenti (poiché erano stati prodotti nei giorni precedenti l'inizio del trattamento) continueranno a funzionare ancora per qualche giorno e, solo quando questi si saranno esauriti, la coagulazione sarà rallentata.
Inoltre, l'effetto terapeutico dei dicumarolici può essere influenzato in maniera importante dalla quantità di vitamina K introdotta con l'alimentazione. I cibi che la contengono in maniera precipua sono soprattutto alimenti vegetali, come cavoli, spinaci e broccoli; per quanto riguarda le fonti animali, una discreta quantità è presente nel fegato di molti animali commestibili; invece, ce n'è molto poca in carne, latticini, frutta e cereali.
Perciò, una volta individuato il dosaggio di farmaco più corretto per un determinato paziente, è importante che egli mantenga il più possibile costante l'introito di alimenti ricchi di vitamina K, in modo da evitare oscillazioni dell'azione anticoagulante.
Come detto in precedenza, gli anticoagulanti sono particolarmente efficaci nell'inibire la formazione di coaguli in zone in cui il flusso sanguigno è lento, come nelle vene o nei punti del cuore in cui il sangue si accumula e ristagna.
In particolare, i dicumarolici sono efficaci in:
Alla luce di ciò, le indicazioni cliniche principali sono:
Inoltre, in casi più rari, i dicumarolici sono utilizzati anche come profilassi post-infarto o post-ictus e nella sindrome da anticorpi antifosfolipide.
Non esiste un dosaggio preciso applicabile in maniera universale ad ogni paziente, poiché l'effetto dei dicumarolici può essere modificato grandemente, sia in positivo che in negativo, dall'interazione con molti altri farmaci e dall'alimentazione.
Per questo la posologia deve essere "cucita su misura" per ogni singolo paziente.
Per far ciò, ci si serve di un esame ematico, il tempo di protrombina (PT), o più precisamente di un indice standardizzato, derivato dal PT, detto INR (International Normalized Ratio). Questo esame deve essere ripetuto più volte nel corso della terapia, all'inizio con controlli più ravvicinati e poi, una volta trovato il dosaggio giusto, con controlli più dilazionati.
Affinché la terapia sia considerata efficace, l'INR deve essere compreso in un range terapeutico ristretto:
Se l'INR è più basso del range prestabilito significa che l'effetto anticoagulante non è sufficiente e il dosaggio andrebbe incrementato.
Se l'INR è troppo alto significa che il dosaggio è troppo elevato e c'è il rischio di incorrere in emorragie. In questi casi, può essere necessario utilizzare la vitamina K come antidoto.
I dicumarolici sono assolutamente controindicati in gravidanza poiché possono indurre gravi danni al feto (soprattutto nel primo trimestre). Durante l'allattamento invece, il farmaco non è controindicato.
Gli effetti collaterali principali sono:
Inoltre, i dicumarolici interagiscono con moltissimi altri farmaci di uso comune, attraverso lo spiazzamento del loro legame all'albumina e/o l'induzione/inibizione del loro metabolismo. Per questo, in corso di trattamento con dicumarolici, anche la funzione di tutti gli altri farmaci assunti deve essere monitorata attentamente.
Sono farmaci introdotti piuttosto recentemente e molti di essi sono ancora in corso di sperimentazione.
Gli inibitori diretti del fattore X attivato sono il rivaroxaban, l'apixaban e endoxaban.
Gli inibitori diretti della trombina sono il dabigatran e l'argatroban.
Tutti questi nuovi farmaci sono stati concepiti come alternative ai dicumarolici, con vari obiettivi: una maggiore efficacia; una maggiore specificità e quindi minor rischio di sanguinamento; ma, soprattutto, un effetto più prevedibile e quindi la possibilità di utilizzare dei dosaggi prestabiliti, senza dover controllare costantemente l'INR.
Alcuni di questi farmaci hanno dimostrato risultati preliminari molto incoraggianti, ma sono ancora poco utilizzati per il costo (molto più elevato rispetto al warfarin) e per prudenza, poiché si tratta comunque di sostanze nuove, delle quali non si conoscono bene gli eventuali effetti collaterali.
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