I PFAS sono una categoria di sostanze di cui fanno parte circa 8163 diverse sostanze, secondo l'agenzia statunitense EPA, che si occupa di protezione dell'ambiente. Queste sono tutte sostanze chimiche di sintesi, prodotte a partire dagli anni '40 e usate, fra gli altri scopi, come rivestimento di contenitori di alimenti, ma anche nei tessuti che rendevano resistenti all'acqua e alla materia grassa.
Questi composti sono persistenti nell'ambiente e vengono quindi rilevati facilmente in diversi ecosistemi, grazie anche al fatto che possono facilmente diffondersi tra i diversi luoghi. Per questo motivo, i PFAS sono considerati comunque dannosi per l'ambiente. Vediamo nel corso dell'articolo in che misura, ma anche cosa sono e dove si trovano i PFAS.
I PFAS, o sostanze perfluoroalchiliche, sono sostanze di origine sintetica che, dal punto di vista chimico, sono caratterizzate dalla presenza di atomi di fluoro in catene alchiliche. Questi composti sono in realtà una categoria di sostanze che hanno la caratteristica chimica di avere nella loro molecola una catena perfluoroalchilica, da cui prendono appunto il nome.
Ai PFAS fanno parte dei composti usati come tensioattivi, grazie alla loro catena con atomi di fluoro e la testa idrofila. Sono molto efficaci, anche più di altri tensioattivi, soprattutto quando si parla di materiale a contatto con l'acqua.
Tra i PFAS, ce ne sono alcuni particolarmente sotto controllo per la loro persistenza ambientale. Essi sono, ad esempio, i PFOS, ossia l'acido perfluoroottanosolfonico, e gli acidi perfluorocarbossilici, di cui fa parte il PFOA, o acido perfluottanoico.
I PFAS sono degli ottimi tensioattivi, come abbiamo già detto, e vanno quindi a ridurre la tensione superficiale dell'acqua, avendo un'azione due volte maggiore rispetto ad altri composti con la stessa azione, come i tensioattivi idrocarburici.
Grazie alla loro composizione chimica, si accumulano nell'interfaccia tra l'aria e il liquido, come l'acqua, e grazie alla loro stabile composizione chimica possono resistere anche alle condizioni più difficili. Questo è dovuto allo stretto legame tra carbonio e fluoro che consente anche di avere una molecola meno polarizzabile di tante altre. Proprio questa caratteristica rende altamente persistente i PFAS nell'ambiente.
Nell'industria i PFAS sono molto usati nei detersivi smacchianti, per un giro d'affari pari a 1 bilione di dollari l'anno, ma anche nella fabbricazione dei tessuti, delle vernici e dei lucidanti. Queste ultime industrie costituiscono un giro d'affari pari a 100 milioni di dollari su base annuale.
I PFAS vengono anche usati nell'industria delle costruzioni e del cibo, ma anche della plastica e della produzione di materiale in gomma.
I danni di questi composti per la salute umana dipendono dai livelli di esposizione e dalla durata del contatto, ma anche dallo stato di salute iniziale della persona che vi entra in contatto.
Negli anni '50, quando questi composti si sono diffusi tantissimo nel mercato e nell'industria, nessuno si preoccupava degli eventuali danni alla salute e all'ambiente dei PFAS, anzi nessuno nemmeno li sospettava.
Solo negli anni 2000 iniziarono a nascere i primi studi in cui si rilevavano livelli anormali di PFAS nel sangue dei lavoratori delle industrie che li usavano. Tuttavia, non erano stati rilevati effetti collaterali sulla salute di queste persone. La vegetazione circostante queste industrie, però, risultava avere livelli significativi di questi composti sintetici e quindi ci si poneva come obbiettivo quello di studiare come ridurre l'immissione ambientale dei PFAS. Dagli studi effettuati, non sono risultati, inoltre, modifiche nei parametri ematologici, lipidici, epatici e tiroidei, e quindi nessun effetto potenzialmente tossico dei PFAS nell'uomo.
Nel 2021, in un articolo del The Guardian, Erin Brockovich puntava i riflettori su uno studio epidemiologico fatto da Shanna Swan, un epidemiologa di New York, che aveva rilevato come, seguendo l'andamento attuale, a 2045 non ci sarebbe stata produzione di spermatozoi da parte dell'uomo. Questo per una sempre crescente infertilità maschile degli ultimi anni. Sembra che dal 1973 ad oggi la produzione di sperma nell'uomo si sia ridotta del 60%.
La colpa di questo andamento era imputata, dall'articolo del The Guardian stesso, alle sostanze chimiche contenute negli shampoo e nei saponi, ma anche nei profumi, nei vestiti impermeabili e nei contenitori per alimenti, sottolineando come si tratta soprattutto proprio dei PFAS.
A partire dal 2005 e fino al 2013 sono stati condotti una serie di studi nella valle di Mid-Ohio, negli USA, per supportare la causa contro l'azienda DuPont responsabile di aver rilasciato dagli anni '50 un'ingente quantità di PFAS, e in particolare di PFOA, o C8, nell'ambiente circonstante. Questo accumulo ha portato ad una serie di patologie ed effetti collaterali, confermati dalla serie di studi racchiusi in quello che viene chiamato "C8 Science Panel". Sarebbero oltre 35 gli studi a conferma di tutto ciò, che correlavano l'accumulo di C8 nell'ambiente con ipercolesterolemia, cancro al rene e ai testicoli, patologie tiroidee, colite ulcerosa e preeclampsia associata ad ipertensione.
Tutti gli effetti negativi proposti dal C8 Science Panel hanno alcuni ulteriori studi che ne confermano in parte la possibile correlazione. Un esempio è ciò che riguarda la colite ulcerosa, che sembrerebbe indotta da un meccanismo autoimmune dovuto alla reazione di PFOA e PFOS contro le cellule del sistema immunitario. Questo porta ad un'alterazione della barriera intestinale e quindi alla colite ulcerosa.
La correlazione cancro e consumo di PFAS attraverso la dieta è stata indagata sui ratti, ma non sono stati trovati gli stessi risultati sull'uomo, se non per quanto riguarda il cancro al rene e ai testicoli. Tuttavia, la certezza di questo effetto e del meccanismo che vi condurrebbe, non è ancora stata raggiunta.
L'esposizione ai PFAS è stata associata anche all'incremento dell'ipotiroidismo, perchè si ha una riduzione della produzione e attivazione degli ormoni tiroidei, dimostrata anche in vivo. Questo avrebbe alla base la riduzione della perossidasi tiroidea, ma vi sono diversi meccanismi che sono stati proposti nel tempo a giustificazione di questo effetto collaterale.
Ad oggi, la correlazione tra ipercolesterolemia e PFAS rimane incerta e non ancora ben confermata, così come quella con la preeclampsia. A prova di ciò sono stati proposti diversi meccanismi, alcuni dei quali coinvolgerebbero anche il sistema immunitario, altri uno stato infiammatorio indotto dall'accumulo di trigliceridi, colesterolo e acido urico nel sangue, dovuto proprio all'esposizione ai PFAS.
Sono stati attribuiti altri effetti collaterali all'accumulo dei PFAS, come problemi a livello dello sviluppo neurologico, o riguardanti la densità ossea, l'asma e un minor sviluppo delle ghiandole mammarie. Questi effetti sono incerti e non ancora confermati da studi scientifici.
Alcuni articoli e pubblicazioni dicono che alcuni effetti collaterali dei PFAS sono stati coperti fin dagli anni '70, periodo in cui sembrerebbe fossero già noti gli effetti tossici dei PFAS.
I lavoratori che sono esposti ai PFAS hanno livelli superiori di questi composti nel sangue. La popolazione, invece, non lavoratrice li assume tramite l'acqua o il cibo, come uova, frutta e pesce. I lavoratori, invece, possono assumerli anche tramite inalazione, soprattutto nelle industrie in cui si ha alta concentrazione di questi composti nell'aria.
Nel 2020, l'EFSA ha espresso un suo parere in merito alla soglia di sicurezza dei PFAS per l'uomo, parere che è stato formulato dopo una consultazione durata 2 mesi nel 2020, in cui erano stati coinvolti anche organismi scientifici di diversi Stati membri, ma anche associazioni di cittadini ed enti competenti vari.
In particolare, viene stimato pari a 4,4 ng per kg di peso corporeo a settimana il valore soglia di sicurezza per l'uomo. La concentrazione dell'Ente europeo è rivolta, in particolare, a PFOA, PFNA e PFOS, ma anche PFHxS, tutti appartenenti ai PFAS.
Sempre secondo l'EFSA i soggetti maggiormente a rischio sarebbero i bambini e i neonati. In particolare, in questi ultimi la presenza di PFAS nel sangue è legata all'esposizione della madre durante allattamento o gravidanza.
Inoltre, l'EFSA afferma come l'effetto più certo e confermato dei PFAS per la salute umana sarebbe la riduzione dell'azione del sistema immunitario e quindi anche dell'efficacia ai vaccini. Questo rappresenta un cambiamento di rotta rispetto all'ultimo parere fornito in merito nel 2018, in cui l'EFSA affermava che il danno principale dei PFAS fosse l'aumento del colesterolo nel sangue.
Secondo il parere dell'EFSA la principale fonte di contaminazione dei cibi sono le acque e il terreno contaminato da PFAS, ma anche a causa all'esposizione degli animali a questi composti, attraverso i mangimi e l'acqua. Inoltre, fonti di PFAS possono essere gli imballaggi degli alimenti e gli attrezzi da lavoro delle industrie alimentari.
Per la bonifica delle acque, e dei liquidi, in genere dai PFAS esistono dei rimedi che possono essere applicati non solo per l'acqua potabile, ma anche per quella di scarto, per le acqua superficiali e per i liquidi di origine industriale.
Le tecnologie di bonifica delle acque dai PFAS variano, nella tipologia e nei costi, a seconda del grado di esposizione dell'acqua a questi composti, ma anche a seconda delle caratteristiche dell'acqua, come il pH.
Tra le tecnologie utili per questo scopo abbiamo: l'uso della filtrazione su membrana, la nanofiltrazione, l'osmosi inversa, lo scambio ionico, la coagulazione, la flocculazione, la precipitazione e tante altre.
Negli USA e in altri paesi del mondo queste tecnologie sono già applicate, sia in ambito pubblico che privato e spesso se ne associano insieme diversi tipi per ottenere un effetto ancora migliore.
Nel 2018, l'Università dello Stato del Michigan ha messo a punto una tecnologia di bonifica dai PFAS, ossia l'ossidazione elettrochimica. Questa tecnica è semplice ed efficace per distruggere i PFAS, ma anche altri tipi di contaminanti dalle acqua di scarto, e di conseguenza ridurre la presenza di questi composti nelle acque superficiali.
Altre tecnologie ancora in corso di sperimentazione prevedono anche l'uso di microrganismi come l'Acidimicrobium sp., ma devono ancora essere messi appunto i protocolli specifici al fine di confermarne l'effettiva efficacia.
Per difendersi dai PFAS sono stati messi a punto anche dei modelli matematici di simulazione della diffusione di questi composti nelle acqua sotterranee e superficiali, considerando anche la variabile tempo in quelle che sono delle equazioni utili a monitorare la diffusione dei PFAS, e di altri inquinanti ambientali, nelle acque, andando a realizzare anche una previsione del grado di contaminazione futura. Questi modelli sono attualmente in fase di definizione e completamento grazie ad un progetto europeo nell'ambito del quale sono stati finanziati.
I PFAS, e in particolare i PFOS, il PFOA e il PFNA che ne fanno parte, sono sotto osservazione a causa della loro grande persistenza nell'ambiente, ma anche per la loro tossicità e capacità di distribuirsi negli ecosistemi.
Nel 2009, la Convenzione di Stoccolma ha incluso i PFAS tra gli inquinanti organici persistenti, da cui nasce il nome "Forever Chemicals", attribuito ai PFAS e usato soprattutto dalla stampa, per sottolineare come il legame stabile tra fluoro e carbonio, che caratterizza questi composti. Esso è responsabile della loro stabilità a causa della sua forza: è infatti uno dei legami più forti che esistano in chimica organica.
In Europa, la maggior parte dei PFAS non sono regolamentati, ma in diversi paesi ci si chiede come difendersi dai PFAS, visto il loro accumulo nell'acqua, in particolare in quelle di scarto, ma anche in quella potabile.
Nel 2008, il Canada ha proibito la vendita, l'importazione e l'uso dei PFOS e dei prodotti che li contengono, ad eccezione di alcuni prodotti usati in campo militare e della comunicazione. Inoltre, nel paese è stato stabilito anche un limite massimo di PFOS e PFOA riscontrabile nell'acqua potabile, pari a 0,0002 mg per litro per i primi, pari a 0,0006 mg per litro per i secondi.
Nel Regno Unito, sebbene sia riconosciuta la correlazione tra PFAS e patologie, sopratutto se presenti nell'acqua potabile e da bere, non sono ad oggi previste norme a tal proposito.
Negli USA alcuni PFAS non vengono più prodotti, soprattutto in seguito ad un accordo tra alcune delle industrie che li utilizzano per la maggior parte. In questo accordo, queste aziende si impegnano a non utilizzare PFAS, ed in particolare PFOA e composti correlati, nelle loro produzioni. Nonostante questo, spesso negli USA vengono importati prodotti che contengono PFOA e PFOS, soprattutto per quanto riguarda i prodotti tessili, di plastica e di carta. Si stima che siano circa 26.000 i siti ambientali contaminati da queste sostanze in tutto il paese. Questo si ripercuote nella salubrità soprattutto dell'acqua potabile. Per questo motivo, nel 2020 l'FDA, Food and Drug Administration, ha raggiunto un accordo con alcuni produttori per contrastare e ridurre l'uso dei PFAS dal 2024. L'EPA, ossia l'agenzia americana che si occupa della protezione ambientale, nel 2021 ha annunciato di voler raggiungere un accordo a livello nazionale che ponga dei limiti nella quantità di PFAS dell'acqua potabile.
In seguito agli studi del "C8 Science Panel" del 2017, alcune aziende sono state condannate a pagare un risarcimento per l'immissione di PFAS nell'acqua potabile del West Virginia. Questo ha come base proprio i possibili collegamenti fatti dallo studio stesso tra PFAS e alcune patologie, come abbiamo analizzato poco più sopra.
Nel Veneto i PFAS sono stati riscontrati, così come in altre parti d'Italia, nelle acque superficiali, in quelle potabili e in quelle sotterranee. Questo è stato riscontrato da uno studio del 2013 che aveva preso in considerazione, in particolare, i bacini del Po ma anche degli altri principali fiumi italiani.
In seguito a questo studio, sono state analizzate le acque destinate al consumo umano della provincia di Vicenza, Padova e Verona, in cui sono state ritrovate tracce di PFAS superiori ai valori di sicurezza. Da questi studi nasce un rapporto del CNR proprio sul rischio associato alla presenza dei PFAS nelle acque potabili.
In seguito a questo studio sono stati messi in atto delle soluzioni per ridurre i PFAS in questi bacini idrici, al fine di rendere quindi l'acqua più sicura. In particolare, sono stati utilizzati, a questo scopo, filtri a carboni attivi. Sono stati, inoltre, effettuati dei pozzi barriera dotati di sistemi di filtrazione, situati nei pressi degli stabilimenti maggiormente causa di emissione, come quello della ditta Miteni S.p.A. Inoltre, sono previsti controlli ciclici delle acque per monitorare i livelli dei PFAS nelle acque.
Altre analisi sono state effettuate sul fiume Tevere, in cui i PFAS sono stati riscontrati a livelli non pericolosi, a differenza dei bacini menzionati sopra. Ma non tutti i bacini italiani sono ancora stati analizzati, per cui mancano dati che coprano l'intero territorio.
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